Rapporto tra l’ordine di demolizione e la tutela dell’affidamento del privato: aspetti esemplificativi del “carattere incolpevole”
Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria Sentenza n. 513/2018
Ordinanza di demolizione (D.P.R. 380/2001) – Irrilevanza dell’omessa comunicazione dell’avvio del relativo procedimento (Art.21 octies, comma 2, L.n. 241/1990)- I limiti della tutela dell’affidamento del privato – Il decorso di un notevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso edilizio – Obbligo di motivazione del Comune sulla prolungata inerzia – Le modeste dimensioni del manufatto oggetto dell’abuso e la necessaria valutazione dei contrapposti interessi (pubblici e privati).
Massime non ufficiali a cura dell’Avv. Leo Stilo
Massima n. 1
Art.21 octies, comma 2, L.n. 241/1990 e Ordinanza di demolizione: l’irrilevanza dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento.
La motivazione del TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, contenuta nella sentenza n. 513 del 2019, non si discosta dalla giurisprudenza dominante che identifica l’ordinanza di demolizione come un atto di natura vincolata e che l’eventuale omessa comunicazione dell’avvio del relativo procedimento non produce effetti vizianti sull’atto sanzionatorio emanato ex art. 31 D.P.R. 380/2001. Infatti, il TAR Calabria, sez. Reggio Calabria puntualizza che secondo la giurisprudenza maggioritaria, l’ordinanza di demolizione costituisce un atto di natura vincolata, con la conseguenza che l’eventuale omessa comunicazione dell’avvio del relativo procedimento non produce effetti vizianti sull’atto sanzionatorio emanato ex art. 31 D.P.R. 380/2001: “L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della PA con la conseguenza che i relativi provvedimenti–tra cui l’ordinanza di demolizione–costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto”(ex pluribus: TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 9.6.15 n. 3119).
Tuttavia, il TAR Calabria, sez. Reggio Calabria si sofferma su un aspetto estremamente rilevante, ossia: “in virtù dell’art.21 octies, comma 2, L.n. 241/1990, che l’omessa comunicazione ex art. 7 L.n. 241/1990 non determina l’annullabilità del provvedimento: “Per effetto della dequotazione introdotta dall’art. 21 octies L. 241/1990, nei procedimenti preordinati all’emanazione di ordinanze di demolizione di opere edilizie abusive, l’asserita violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio dell’iter procedimentale non produce l’annullamento del provvedimento, specie quando emerga che il contenuto dell’ordinanza conclusiva del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello che è stato in concreto adottato” (TAR Lecce sez. II, 14.3.19 n.441; Cons. St. Sez. VI, 12.8.16 n.3620).Nel caso concreto, se anche tale comunicazione fosse intervenuta, l’apporto partecipativo del ricorrente non sarebbe stato decisivo, quanto meno nei termini dallo stesso prospettati con la censura in esame”. Rimane, quindi, da approfondire un argomento (a contrario), di estremo interesse anche da un punto di vista “pratico” e di “casistica”: l’identificazione dei termini minimi e necessari per considerare l’apporto partecipativo del ricorrente come “decisivo” al fine di poter concludere che l’eventuale omissione di partecipazione al procedimento amministrativo ex L.241/90 possa essere ritenuta “rilevante” dal Giudice Amministrativo.
Massima n. 2
Rapporto tra l’ordine di demolizione e la tutela dell’affidamento del privato :
aspetti esemplificativi del “carattere incolpevole”.
Il TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, con la sentenza n. 513 del 2019, si sofferma ad esaminare il rapporto tra l’ordine di demolizione e la tutela dell’affidamento del privato. Il predetto TAR chiarisce che il decorso anche di un lungo tempo non è idoneo a far perdere il potere dell’amministrazione di provvedere in quanto, se così fosse, si realizzerebbe una sorta di sanatoria “extra ordinem”, non potendo la distanza temporale tra l’abuso e la sua repressione giustificare la formazione di un legittimo affidamento anche nell’ipotesi in cui l’attuale proprietaria dell’immobile non sia responsabile dell’abuso (cfr. Cons.St. sez. II, 24.6.19 n.4315). Tuttavia, nella motivazione il TAR Calabria precisa che l’ordinamento tutela l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole (…) (sentenza n. 9 del 2017 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato). Il TAR Calabria, nella sentenza in esame, infine, individua alcuni degli elementi sintomatici del predetto carattere incolpevole rinvenibili: 1. nell’ipotesi in cui il privato, il quale abbia correttamente ed in senso compiuto reso nota la propria posizione all’Amministrazione, venga indotto da un provvedimento della stessa Amministrazione a ritenere come legittimo il suo operato (TAR Napoli, con sentenze n. 5473 del 20.11.2017, n. 184 del 10.1.2018, n. 685 del 31.1.2018, n. 1273 del 26.2.2018 e n. 1493 del 8.3.2018); 2. la risalenza nel tempo dell’abuso contestato, l’affidamento ingeneratosi in conseguenza del rilascio del titolo edilizio del locale integrano, complessivamente considerati, altrettanti parametri oggettivi di riferimento da valutare (Consiglio di Stato con la sentenza n. 3372 del 4 giugno 2018).
L’incolpevole affidamento del privato è caratterizzato, nel caso in esame, dalla piena conoscenza dello stato dei luoghi da parte della P.A. e dall’implicita attività di controllo dalla stessa effettuato in merito alla regolarità edilizia ed urbanistica del manufatto.
Massima n. 3
Il decorso di un notevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso edilizio determina l’obbligo di motivazione del Comune sulla prolungata inerzia.
ll TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, con la sentenza n. 513 del 2019, precisa che nel caso sia decorso un notevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso edilizio, l’Amministrazione è tenuta a specificare la sussistenza dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’opera realizzata o, addirittura, a indicare le ragioni della sua prolungata inerzia, atteso che si sarebbe ingenerato un affidamento in capo al privato, solo in caso di situazioni assolutamente eccezionali nelle quali risulti evidente la sproporzione tra il sacrificio imposto al privato e l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata(cfr.TAR Napoli sez. VII, 3.5.18 n.2972).
Nel caso in esame il TAR Calabria, puntualizza come Comune “per superare le smagliature della contraddittoria azione amministrativa posta in essere, avrebbe dovuto ricorrere ad una adeguata motivazione su quello che era il concreto ed attuale l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, comparandolo con l’interesse oppositivo del privato a conservare l’integrità dell’assetto edilizio minacciato“.
Massima n. 4
L’ordine di demolizione di un manufatto di modeste dimensioni: l’assenza di un pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico
ll TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, con la sentenza n. 513 del 2019, precisa che discutendosi nel caso in eseme di un manufatto di modeste dimensioni ricadente in un cortile di proprietà esclusiva della ricorrente, intercluso alla pubblica via e destinato a vano cucina, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto illegittimo “ il provvedimento con il quale un Comune ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in relazione a un abuso edilizio (accertato 54 anni dopo la realizzazione) nel caso in cui lo stesso si traduca in una modifica di lieve entità, con sostanziale assenza di un pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico e, pertanto, in mancanza di“ offensività” per l’interesse pubblico tutelato. Ciò che viene a mancare è proprio l’esistenza di un abuso rilevante, tale da giustificare l’irrogazione della sanzione edilizia” (cfr. Cons. St. sez. VI 28.5.18 n. 2237).
TESTO INTEGRALE
Pubblicato il 24/08/2019 N. 00513/2019 REG.PROV.COLL. N. 00509/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 509 del 2018, proposto da XX, rappresentata e difesa dall’avvocato XX, domiciliata ex art.25 c.p.a.;
contro
Comune di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato …;
Dirigente del Settore Pianificazione Urbana – Gestione Edilizia Privata–Sue-Vigilanza Edilizia – Pubblica e Privata non costituito in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia
dell’ingiunzione di demolizione prot.n. 0000000del …….2018 Ord. V. E. …… del 08.08.2018, notificata in data 31.08.2018, ove si ordina di provvedere “previa segnalazione di inizio attività edilizia, ai sensi degli artt.22 e 23 DPR 380/01 all’esecuzione delle opere di demolizione e sgombero dei lavori abusivi suddetti, con ripristino originario dello stato dei luoghi entro 90 giorni”, nonché di ogni altro provvedimento annesso, connesso e di ogni altro presupposto e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Reggio Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 giugno 2019 il dott. Andrea De Col e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in data 25.10.18 e tempestivamente depositato, la sig.ra XX ha agito in giudizio nei confronti del Comune di Reggio Calabria e del Dirigente del Settore Pianificazione Urbana per ottenere l’annullamento dell’ordine di esecuzione delle opere di demolizione e di sgombero dei lavori abusivi con ripristino dello stato dei luoghi entro il termine di novanta giorni, assunto in data 8.08.18 e comunicato il 31.8.18.
Nei fatti, la ricorrente ha esposto:
-di essere comproprietaria dell’immobile sito in Reggio Calabria alla via …… n. …, primo piano fuori terra;
– di aver ricevuto in data 31.8.18 la notifica del predetto ordine di demolizione relativo ad un “corpo avanzato in m.o. e c.a…. munito di apertura finestra lato monte con conseguente ampliamento volumetrico dell’immobile in quanto collegato al vano soggiorno tramite apertura interna”, ordine giunto a seguito dell’esecuzione di rilievi e misurazioni del manufatto – poi individuato come abusivo ad opera degli agenti del Comando di Polizia Municipale di Reggio Calabria – effettuati in data 13.6.18.
Avverso l’ordine di demolizione è insorta l’esponente, deducendone l’illegittimità sulla base dei seguenti motivi:
–Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della L. 241/1990 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento relativamente al provvedimento di ingiunzione impugnato.
Con il primo motivo viene censurata la violazione dell’art.7 della L.241/90, in quanto la comunicazione dell’avvio del procedimento, se avvenuta, avrebbe consentito all’odierna ricorrente di modificare il contenuto della statuizione amministrativa attraverso la dimostrazione del fatto che il manufatto era stato realizzato in data anteriore al 1967;
–Illegittimità del provvedimento per contraddittorietà degli atti; violazione dell’art. 32 comma 37 della L. 326/2003, del principio del legittimo affidamento, nonché sull’errata applicazione del D.P.R. 380/2001.
Con il secondo motivo viene censurata la contraddittorietà degli atti adottati dal Comune sulla scorta di una perizia giurata allegata dalla ricorrente, da cui emergerebbe che in data 01.8.91 erano state effettuate delle ristrutturazioni interne sull’unità immobiliare in questione di cui il Comune era stato portato a conoscenza, senza che venisse contestato alcunché rispetto al manufatto oggetto del contenzioso, ingenerando nel privato un legittimo affidamento sulla regolarità edilizia dell’opera.
Completava il mezzo di gravame la doglianza relativa alla carenza motivazionale del provvedimento di demolizione.
- In data 16.11.18 si è costituito in giudizio il Comune di Reggio Calabria, il quale, dopo aver riassunto i fatti, resisteva alle pretese avversarie, ponendo in rilievo che:
-l’ordinanza di demolizione del manufatto non richiedeva una particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, ancorché fosse decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso;
-la mera inerzia dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non era idonea a far divenire legittimo ciò che era sin dall’origine illegittimo.
Configurandosi il provvedimento di demolizione come un atto vincolato, il Comune di Reggio Calabria insisteva pertanto sul rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto.
Con ordinanza ….. l’istanza cautelare veniva accolta.
Alla pubblica udienza del 26 giugno 2019 il ricorso veniva discusso ed introitato per la decisione.
Il Collegio, dando seguito alla sommaria valutazione della controversia espressa in sede cautelare, reputa che il ricorso meriti di essere accolto, avuto riguardo alla fondatezza del secondo motivo di impugnazione.
Affrontando nell’ordine di prospettazione le censure formulate dalla ricorrente, va innanzitutto disattesa la prima censura incentrata sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art.7 L.n. 241/90.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, l’ordinanza di demolizione costituisce un atto di natura vincolata, con la conseguenza che l’eventuale omessa comunicazione dell’avvio del relativo procedimento non produce effetti vizianti sull’atto sanzionatorio emanato ex art. 31 D.P.R. 380/2001: “L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della PA con la conseguenza che i relativi provvedimenti–tra cui l’ordinanza di demolizione–costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto”(ex pluribus: TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 9.6.15 n. 3119).
Ne consegue, anche in virtù dell’art.21 octies, comma 2, L.n. 241/1990, che l’omessa comunicazione ex art. 7 L.n. 241/1990 non determina l’annullabilità del provvedimento: “Per effetto della dequotazione introdotta dall’art. 21 octies L. 241/1990, nei procedimenti preordinati all’emanazione di ordinanze di demolizione di opere edilizie abusive, l’asserita violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio dell’iter procedimentale non produce l’annullamento del provvedimento, specie quando emerga che il contenuto dell’ordinanza conclusiva del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello che è stato in concreto adottato” (TAR Lecce sez. II, 14.3.19 n.441; Cons. St. Sez. VI, 12.8.16 n.3620).
Nel caso concreto, se anche tale comunicazione fosse intervenuta, l’apporto partecipativo del ricorrente non sarebbe stato decisivo, quanto meno nei termini dallo stesso prospettati con la censura in esame.
La ricostruzione difensiva di parte ricorrente si fonda, infatti, sul rilievo che gli abusi contestati consisterebbero nell’esecuzione di interventi realizzati al di fuori del centro abitato del Comune resistente in epoca anteriore alla entrata in vigore della legge n.765/1967, atteso che, solo con l’entrata in vigore della stessa è stato generalizzato, dal 1 settembre 1967, l’obbligo sino ad allora limitato ai centri urbani, di richiedere al Sindaco apposita “licenza edilizia” per l’attività costruttiva.
Sennonché, mentre in atti è stato offerto un riscontro probatorio idoneo ad attestare la preesistenza del contestato intervento edilizio in epoca anteriore al 1967 (v. planimetria catastale del 1° aprile 1966 in cui si nota chiaramente l’esistenza del vano adibito a cucina di cui si discute -all. 2 parte ricorrente), non è invece stata sufficientemente dimostrata la sicura collocazione fisica dell’edificio principale, rispetto al quale il manufatto da demolire rappresenta un’evidente struttura aggiuntiva, all’esterno del centro abitato, tale da non necessitare del titolo edilizio espresso.
Il motivo in esame non può dunque essere accolto.
Meritano invece condivisione le doglianze illustrate con il secondo motivo di ricorso.
Va premesso che il Collegio non intende rimettere qui in discussione il condivisibile approdo giurisprudenziale raggiunto dalla sentenza n. 9 del 2017 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato concernente il rapporto tra ordine di demolizione e tutela di affidamento del privato.
Come è noto, l’Adunanza Plenaria ha chiarito che il decorso anche di un lungo tempo non è idoneo a far perdere il potere dell’amministrazione di provvedere in quanto, se così fosse, si realizzerebbe una sorta di sanatoria “extra ordinem”, non potendo la distanza temporale tra l’abuso e la sua repressione giustificare la formazione di un legittimo affidamento.
Questi esiti, condivisi anche dalla recente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons.St. sez. II, 24.6.19 n.4315), devono rimanere fermi anche nell’ipotesi, come quella in decisione, in cui l’attuale proprietaria dell’immobile non sia responsabile dell’abuso.
Bisogna tuttavia dar conto che, in epoca relativamente recente, la giurisprudenza amministrativa ha apportato significative precisazioni sul tema del rapporto tra ordine di demolizione e legittimo affidamento, attualizzando la portata interpretativa della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017 che si era limitata a ribadire l’esistenza dell’istituto (al paragrafo 7.3, si riconosce che: “(…) l’ordinamento tutela l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole (…)”, senza peraltro ancora chiarire quando in concreto esso rivestisse portata “scriminante” nei confronti del responsabile dell’abuso.
Il TAR Napoli, ad esempio, con sentenza n. 5473 del 20.11.2017, anch’essa successiva all’arresto dell’A.P. n. 9/2017, puntualmente richiamata, e più recentemente, con sentenze n. 184 del 10.1.2018, n. 685 del 31.1.2018, n. 1273 del 26.2.2018 e n. 1493 del 8.3.2018 ha stabilito “come di affidamento meritevole di tutela si possa parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente ed in senso compiuto reso nota la propria posizione all’Amministrazione, venga indotto da un provvedimento della stessa Amministrazione a ritenere come legittimo il suo operato non già nel caso, come quello di specie, in cui si commetta un illecito a tutta insaputa della stessa (Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5509)”.
Affrontando una vicenda simile a quella che deve essere qui decisa, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3372 del 4 giugno 2018 ha aggiunto qualche ulteriore elemento chiarificatore, affermando che “La risalenza nel tempo dell’abuso contestato, l’affidamento ingeneratosi in conseguenza del rilascio del titolo edilizio del locale (tecnico-deposito poi utilizzato come) garage, integrano, complessivamente considerati, altrettanti parametri oggettivi di riferimento da valutare, decorsi oltre quaranta anni dalla realizzazione dell’abuso, prima d’adottare la misura ripristinatoria ovvero da dover indurre il Comune a fornire adeguata motivazione sull’interesse pubblico attuale al ripristino dello stato dei luoghi”.
Vero che qui il Comune di Reggio Calabria non ha rimosso alcun titolo edificatorio in precedenza rilasciato alla ricorrente o al suo dante causa e che quindi non si può applicare a un fatto illecito – quale è, si ribadisce, l’abuso edilizio – il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per il ben diverso ordine di presupposti su cui si fonda l’istituto dell’autotutela decisoria, ma è altrettanto vero che la stessa Amministrazione resistente, come pacificamente emerso in corso di causa (v. perizia giurata all.5 parte ricorrente, depositata il 9.11.18) ha avuto o poteva avere certamente contezza della natura abusiva del vano cucina in contestazione fin dal 1991, epoca in cui lo stesso Comune resistente ne ha permesso la ristrutturazione attraverso la ridistribuzione degli spazi disponibili.
Più precisamente, il riferimento corre alla comunicazione di inizio lavori datata ……., a seguito della quale la ricorrente ha realizzato sull’immobile per cui è causa opere di ristrutturazione interna ai sensi dell’art. 26 della Legge n.47 del 28.02.1985, comportanti una nuova distribuzione degli spazi interni, destinando il vano di cui oggi si è ingiunta la demolizione al solo angolo cottura e lo spazio occupato originariamente dalla cucina a soggiorno.
In quell’occasione, come puntualmente evidenziato dalla difesa della ricorrente, l’Amministrazione comunale non ha posto alcuna obiezione né sulla regolarità dei lavori da eseguire né tanto meno sul carattere abusivo o meno del vano ripostiglio all’interno del quale essi furono realizzati né sulla sua destinazione d’uso rimasta peraltro immutata.
A fronte di siffatto contesto fattuale, è opinione del Collegio che l’incolpevole affidamento del privato possa dirsi positivamente, ancorchè eccezionalmente, caratterizzato dalla piena conoscenza dello stato dei luoghi da parte della P.A. e dall’implicita attività di controllo dalla stessa effettuato in merito alla regolarità edilizia ed urbanistica del manufatto in questione, discendendone sul piano giuridico due decisive considerazioni.
La prima è che, come annotato da attenta giurisprudenza (cfr.TAR Napoli sez. VII, 3.5.18 n.2972), “ove sia decorso un notevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso edilizio, l’Amministrazione è tenuta a specificare la sussistenza dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’opera realizzata o, addirittura, a indicare le ragioni della sua prolungata inerzia, atteso che si sarebbe ingenerato un affidamento in capo al privato, solo in caso di situazioni assolutamente eccezionali nelle quali risulti evidente la sproporzione tra il sacrificio imposto al privato e l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata”.
La seconda è che il Comune, per superare le smagliature della contraddittoria azione amministrativa posta in essere, avrebbe dovuto ricorrere ad una adeguata motivazione su quello che era il concreto ed attuale l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, comparandolo con l’interesse oppositivo del privato a conservare l’integrità dell’assetto edilizio minacciato.
Sotto questo profilo-evidenzia il Collegio-ciò di cui si va discorrendo è un manufatto di modeste dimensioni ricadente in un cortile di proprietà esclusiva della ricorrente, intercluso alla pubblica via e destinato a vano cucina.
In casi analoghi, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto illegittimo “ il provvedimento con il quale un Comune ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in relazione a un abuso edilizio (accertato 54 anni dopo la realizzazione) nel caso in cui lo stesso si traduca in una modifica di lieve entità, con sostanziale assenza di un pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico e, pertanto, in mancanza di“ offensività” per l’interesse pubblico tutelato. Ciò che viene a mancare è proprio l’esistenza di un abuso rilevante, tale da giustificare l’irrogazione della sanzione edilizia” (cfr. Cons. St. sez. VI 28.5.18 n. 2237).
Quanto illustrato conferma, pertanto, il convincimento che l’Amministrazione resistente debba necessariamente rivalutare, prima di riadottare una nuova ed eventuale misura demolitoria, il tempo trascorso, l’attività di controllo già implicitamente posta in essere quasi trent’anni fa e la preminenza dell’interesse pubblico in relazione all’entità e alla destinazione dell’opera da demolire.
Del resto, anche la giurisprudenza della Corte europea, intervenendo sulla compatibilità dell’ordine di demolizione con la CEDU, non ha mancato di sottolineare che il giudice nazionale deve sempre verificare se l’Amministrazione abbia esercitato i propri poteri valutando “caso per caso” se l’esecuzione dell’ordine possa incidere, in violazione del principio di proporzionalità, sul diritto all’abitazione, richiedendo in tal caso un obbligo particolare di motivazione (cfr. Corte eur.dir.uomo, 21 aprile 2016, ric.n.46577/15).
Per le ragioni sin qui esaminate, il ricorso in epigrafe deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere disposto l’annullamento dell’atto impugnato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Condanna il Comune di Reggio Calabria al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese di lite, che liquida in ….., oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Caterina Criscenti, Presidente
Andrea De Col, Referendario, Estensore
Antonino Scianna, Referendario