Divieto di detenzione armi o di revoca del porto d’armi: la rilevanza di essere “vicini di casa” con soggetti controindicati

TAR Calabria, Reggio Calabria, 24.08.2019, Sentenza n. 512 – Artt. 11 e 43 TULPS (R.D. 18 giugno 1931 n. 773) – Divieto di detenzione armi o di revoca del porto d’armi – Controllo e frequentazioni con soggetti controindicati – Rapporto di parentela – Rapporti di vicinanza – Mancanza di affidabilità.

Massima

Artt. 11 e 43 TULPS (R.D. 18 giugno 1931 n. 773) – Divieto di detenzione armi o di revoca del porto d’armi – Controllo e frequentazioni con soggetti controindicati – Rapporto di parentela – Rapporti di vicinanza – Mancanza di affidabilità.

Il provvedimento di divieto di detenzione armi o di revoca del porto d’armi ad un soggetto legato da rapporti di parentela con soggetti controindicati è adottato legittimamente dall’amministrazione quando vi sia il timore che questi possano esigere, vantando diritti morali, aiuto da parte dei propri congiunti, anche solo nella fornitura delle armi (Tar Catania, sez. II, 5 novembre 2007 n. 1801 che richiama: Tar Reggio Calabria, 21 marzo 2003 n. 226; Tar Valle d’Aosta, 14 novembre 2001 n. 177; Tar Palermo, 13 ottobre 1999 n. 1978; Tar Catanzaro, 28 settembre 1998, n. 811).

Nel caso in esame le affermazioni del ricorrente non sono state ritenute idonee a contrastare la rilevanza del contesto fattuale su cui si è basata l’Amministrazione nell’assumere il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia. Il rapporto di frequentazione con soggetti controindicati viene desunta anche dal fatto che si tratti di “vicini di casa” come dichiarato dallo stesso ricorrente al quale lo stesso “…mai avrebbe potuto negare un passaggio…”.Questo rapporto di vicinanza, nel contesto della situazione specifica, viene ritenuto rilevante ai fini della legittimità del provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovo di porto di fucile per uso caccia.

Le motivazioni del TAR Calabria sono in piena sintonia con quanto espresso recentemente dal Consiglio di Stato:“…Tenuto conto del carattere preventivo e cautelare del divieto di detenzione delle armi, l’esistenza di sospetti o indizi negativi, che facciano perdere all’Autorità competente la fiducia in merito al buon uso delle armi, è sufficiente ai fini della valutazione negativa formulata nella fattispecie dall’amministrazione”(Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 4887 del 9 agosto 2018).


Pubblicato il 24/08/2019 N. 00512/2019 REG.PROV.COLL. N. 00173/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 173 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato …..

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, n. 15;

per l’annullamento

– del provvedimento cat. xx2016 notificato in data 5 gennaio 2017, con il quale è stato confermato il rigetto della richiesta di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia già disposto con decreto cat. xx del 7 novembre 2015;

– del decreto cat. xx del 7 novembre 2015 con il quale è stata respinta la richiesta di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, “accertato che il richiedente è stato controllato con

persone gravate da pregiudizi penali e/o di polizia”

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 giugno 2019 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con decreto del 7 novembre 2015 il Questore di Reggio Calabria ha respinto la richiesta di rinnovo del porto di fucile per uso caccia in quanto il ricorrente è stato controllato con persone gravate da pregiudizi penali e/o di polizia.

Con successivo decreto notificato il 5 gennaio 2017, la Questura ha altresì respinto la richiesta di riesame del suddetto diniego ritenendo che l’interessato non avesse prodotto elementi di novità a supporto della propria istanza e rilevando che l’istruttoria condotta avesse “confermato tutti gli elementi che in precedenza avevano comportato l’adozione del provvedimento di cui si chiede il riesame”.

Con ricorso notificato il 23 febbraio 2017 e depositato il successivo 22 marzo, il ricorrente è insorto contro i suddetti provvedimenti contestandone la legittimità sotto i profili del difetto di istruttoria e di motivazione.

Premette il signor -OMISSIS-:

– di aver proposto, in data 18 dicembre 2015, un ricorso gerarchico avverso il diniego del 7 novembre 2015 sul quale si è tuttavia formato il silenzio rigetto della Prefettura;

– di aver, quindi, richiesto – con istanza del 19 ottobre 2016 – il riesame del decreto con cui è stato negato il rinnovo del porto d’armi rappresentando che i due soggetti con i quali è stato controllato (-OMISSIS- e -OMISSIS-) sono suoi vicini di casa e che, peraltro, il -OMISSIS- è suo nipote (figlio della sorella). Tali rapporti di vicinato e di parentela giustificherebbero il fatto che siano stati controllati insieme atteso che, proprio in virtù di tale rapporto, mai avrebbe potuto negare loro un “passaggio” fino alla loro abitazione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con memoria di mero stile del 18 giugno 2019 ed in data 20 giugno 2019 ha depositato documenti.

All’udienza pubblica del 26 giugno 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

Preliminarmente occorre dare atto della tardività della produzione documentale effettuata dall’Avvocatura dello Stato in data 20 giugno 2019, quindi oltre il termine di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a..

Alla violazione del termine per il deposito consegue l’inutilizzabilità dei documenti prodotti (in termini, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2018, n. 3943; sez. VI, 16 aprile 2018, n. 2247; sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 916; TAR Torino, I, 10 giugno 2019, n. 682; TAR Reggio Calabria, 31 agosto 2013, n. 523).

5.1. Passando al merito del ricorso, ritiene il Collegio che il ricorso non sia meritevole di favorevole apprezzamento non ravvisandosi la sussistenza dei contestati vizi della carenza di motivazione e del difetto di istruttoria.

Come questo TAR ha avuto più volte modo di affermare (ex multis, TAR Reggio Calabria, sent. n. 788 del 28.12.2018, n. 1331 del 23.12.2016 e n. 840 dell’8.7.2014), la normativa applicabile alla materia oggetto del contendere è rappresentata:

– dall’art. 11 del TULPS (R.D. 18 giugno 1931 n. 773), che così dispone:

“Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate: 

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione; 

2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. 

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta. 

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione”;

– dall’art. 43 dello stesso TULPS, che stabilisce:

“Oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi: 

  1. a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
  2. b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;
  3. c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.

5.2. La citata normativa, nel prevedere che l’autorizzazione in argomento possa essere negata nel caso in cui il richiedente non venga ritenuto completamente affidabile, attribuisce, dunque, all’autorità di pubblica sicurezza un ampio potere valutativo in ordine ai requisiti di idoneità alla detenzione delle armi.

Alla luce di tale quadro normativo “si è formata una ormai univoca giurisprudenza che afferma l’assenza di posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione e al porto di armi, «costituendo tali situazioni delle eccezioni al generale divieto di cui art. 699 c.p. e all’art. 4 comma 1, l. 18 aprile 1975 n. 110. Da tanto deriva che l’Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto nell’uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità; ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del T.U.L.P.S., il compito che esercita l’Autorità non è di tipo sanzionatorio, né tantomeno punitivo, ma di natura cautelare, consistente nel prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della incolumità privata e pubblica. Pertanto, ai fini della revoca dell’autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni, non è necessario che sia stato accertato un determinato abuso delle armi da parte del soggetto istante, ma è sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come questi non sia del tutto affidabile al loro uso; ne consegue che, stante l’ampia discrezionalità dei provvedimenti inibitori, non è neppure necessario un particolare onere motivazionale, bastando piuttosto che nei provvedimenti siano presenti elementi idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate dall’Autorità non siano irrazionali o arbitrarie»(Cons. St., Sez. I, 11 aprile 2018, n. 943; Cons. St., Sez. III, 17 maggio 2018, n. 2974).

Infatti, il R.D. 18 giugno 1931 n. 773, “autorizza l’Amministrazione allo «svolgimento di valutazioni discrezionali ad ampio spettro che diano la prevalenza alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica rispetto a quelle del privato sì che non possano emergere sintomi e nemmeno sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati»(Cons. St., Sez. I, 13 marzo 2018, n. 617)”. […]

Peraltro, come ripetutamente è stato affermato dalla Sezione, “il divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi non implica un concreto ed accertato abuso nella tenuta delle armi, risultando sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell’Autorità amministrativa competente(Cons. St., Sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039; Sez. III, 31 marzo 2014, n. 1521; Sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576).

Tenuto conto del carattere preventivo e cautelare del divieto di detenzione delle armi, l’esistenza di sospetti o indizi negativi, che facciano perdere all’Autorità competente la fiducia in merito al buon uso delle armi, è sufficiente ai fini della valutazione negativa formulata nella fattispecie dall’amministrazione”(Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 4887 del 9 agosto 2018).

5.3. Più in particolare, con riferimento a fattispecie simili a quella in esame, è stato rilevato che legittimamente l’amministrazione adotta un provvedimento di divieto di detenzione armi o di revoca del porto d’armi ad un soggetto legato da rapporti di parentela con soggetti controindicati, nel timore che questi possano esigere, vantando diritti morali, aiuto da parte dei propri congiunti, anche solo nella fornitura delle armi (Tar Catania, sez. II, 5 novembre 2007 n. 1801 che richiama: Tar Reggio Calabria, 21 marzo 2003 n. 226; Tar Valle d’Aosta, 14 novembre 2001 n. 177; Tar Palermo, 13 ottobre 1999 n. 1978; Tar Catanzaro, 28 settembre 1998, n. 811).

5.4. Nella fattispecie in esame, le affermazioni dell’odierno ricorrente non sono idonee a contrastare la rilevanza del contesto fattuale su cui si è basata l’Amministrazione nell’assumere il provvedimento gravato.

Il signor -OMISSIS- non solo non ha negato l’esistenza di un rapporto di parentela con uno dei due soggetti con cui è stato controllato (-OMISSIS- è il nipote – figlio della sorella – di -OMISSIS-) ma ha, altresì, dato atto di una certa frequentazione con entrambi i soggetti sottolineando che si tratta di vicini di casa cui “mai avrebbe potuto negare un passaggio, dato il legame in atto” (pag. 3 del ricorso introduttivo). Lo stesso ricorrente, inoltre, pur affermando che risulta agli atti del procedimento un solo controllo con i suddetti soggetti, si è preoccupato nel contempo di precisare che “non si tratta …, di un controllo tra persone in genere lontane l’una dall’altra e che non avevano motivo di trovarsi insieme. Al contrario sono persone vicine di casa, e con una di esse anche esistente un legame di parentela, pertanto, ecco giustificato il ritrovamento insieme”.

Affermazione che non fa che confermare una vera e propria frequentazione del ricorrente con i soggetti controindicati di cui si discute.

Tali soggetti, peraltro, risultano avere a proprio carico pregiudizi penali, quali la minaccia e la violenza – anche a pubblico ufficiale – le lesioni personali ed il porto d’armi abusivo, certamente idonei a sostenere il giudizio prognostico di non piena affidabilità sull’uso delle armi espresso dalla Questura di Reggio Calabria a carico del signor -OMISSIS- in virtù dei non contestati rapporti che lo legano agli stessi.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Tenuto conto della tardiva costituzione del Ministero intimato, sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente nonché le persone fisiche richiamate in motivazione.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:

Caterina Criscenti, Presidente

Agata Gabriella Caudullo, Referendario, Estensore

Andrea De Col, Referendario