Legge Pinto: ricorso improcedibile in assenza della prova della trasmissione della dichiarazione e della documentazione di cui all’art. 5 sexies, Legge 89/2001.

Risarcimento del danno per la violazione del termine ragionevole del processo (Legge Pinto) – Ottemperanza giudicato – Modifiche apportate dalla Legge Stabilità 2016 – Documentazione da produrre quale condizione per il pagamento delle somme liquidate a titolo di equa riparazione ex art. 5-sexies Legge n. 89/2001 – Assenza della prova della trasmissione della dichiarazione e della documentazione di cui all’art. 5 sexies, Legge 89/2001 – Improcedibilità del ricorso.


Pubblicato il 17/02/2017 – N. 00133/2017 REG.PROV.COLL. – N. 00534/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 534 del 2016, proposto da X e Y, in proprio e nella qualità di eredi di Z, rappresentati e difesi dall’avv. ….

contro

il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., non costituitosi in giudizio

per l’esecuzione

del decreto n. …./2015, depositato in data 9 aprile 2015, con il quale la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dei ricorrenti, pro quota, della somma di € ……, nonché al pagamento delle spese processuali, liquidate in € …. per rimborso spese ed € …. per onorario, oltre accessori di legge.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2017 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Parte ricorrente agisce per l’ottemperanza al giudicato formatosi sul decreto in epigrafe, con il quale il Ministero della Giustizia è stato condannato, ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89, al risarcimento del danno per l’eccessiva durata del processo meglio ivi indicato.

Ciò posto, va osservato come l’art. 1, comma 777, lett. l), della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge di stabilità 2016), abbia introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2016, nell’ambito della legge n. 89/2001, l’art. 5-sexies: il quale, al comma 1, prevede, quale condizione per il pagamento delle somme liquidate a titolo di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo, non solo “il rilascio da parte del creditore di una dichiarazione, ai sensi degli artt. 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta ai sensi del comma 9 del presente articolo”, ma anche la trasmissione della “documentazione necessaria a norma dei decreti di cui al comma 3”.

Se il successivo comma 4 dispone che “nel caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l’ordine di pagamento non può essere emesso”, il successivo comma 5 stabilisce che, nel caso di integrale assolvimento degli obblighi stabiliti dai commi precedenti, l’Amministrazione effettua il pagamento entro sei mesi; mentre il comma 7 precisa che, prima di tale momento, i creditori non possono procedere all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre ricorso per l’ottemperanza del provvedimento.

Nell’osservare come il comma 11 dell’articolo sopra indicato preveda che “nel processo di esecuzione forzata, anche in corso, non può essere disposto il pagamento di somme o l’assegnazione di crediti in favore dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge in caso di mancato, incompleto o irregolare adempimento degli obblighi di comunicazione”, va da ultimo rilevato come il comma 12 dell’articolo di legge in rassegna abbia stabilito che “i creditori di provvedimenti notificati anteriormente all’emanazione dei decreti di cui al comma 3 trasmettono la dichiarazione e la documentazione di cui ai commi precedenti avvalendosi della modulistica presente nei siti istituzionali delle amministrazioni. Le dichiarazioni complete e regolari, già trasmesse alla data di entrata in vigore del presente articolo, conservano validità anche in deroga al disposto dei commi 9 e 10”.

Quanto sopra preliminarmente posto, ritiene il Collegio come le illustrate disposizioni di legge trovino immediata applicazione nei confronti dei giudizi instaurati successivamente all’entrata in vigore della legge 208/2015 (e, quindi, con riferimento alle controversie – come quella oggetto del presente giudizio – introdotte a far tempo dal 1° gennaio 2016).

Dato, conseguentemente, atto della piena operatività dell’art. 5-sexies della legge 89/2001, come introdotto dall’art. 1, comma 777 della legge 208/2015, al presente giudizio di ottemperanza, ritiene il Collegio che – in difetto della documentata dimostrazione, ad opera della parte ricorrente, dell’adempimento della prescrizione come sopra dettata dal comma 1 dell’art. 5-sexies della legge 89/2001 – il giudizio stesso non possa giungere al suo esito naturale, ovvero alla condanna della P.A. al pagamento della somma di danaro nei confronti della parte ricorrente, anche in ragione della corretta interpretazione della summenzionata norma transitoria di per sé diretta a derogare solo parzialmente al disposto dei commi precedenti (“Le dichiarazioni complete e regolari, già trasmesse alla data di entrata in vigore del presente articolo, conservano validità anche in deroga al disposto dei commi 9 e 10”) con espressa salvezza, tra l’altro, del combinato disposto dei commi 4, 5, 6 e 7 (“6. L’amministrazione esegue, ove possibile, i provvedimenti per intero. L’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili sui pertinenti capitoli di bilancio, fatto salvo il ricorso ad anticipazioni di tesoreria mediante pagamento in conto sospeso, la cui regolarizzazione avviene a carico del fondo di riserva per le spese obbligatorie, di cui all’articolo 26 della legge 31 dicembre 2009, n. 196”).

Ben è a conoscenza la Sezione che il T.A.R. della Liguria, con ordinanza della Sezione II, 17 ottobre 2016 n. 1007, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzione dell’art. 5-sexies, commi 1, 4, 5, 7 e 11, della legge 89/2001, come modificata dalla legge 208/2015, per violazione degli artt. 3, 24, 1° e 2° comma, 113, 2° comma, 117, 1° comma, della Costituzione, nonché dell’art. 111, 1° e 2° comma, della Costituzione, rimettendo alla Corte Costituzionale il relativo giudizio.

È stato sostenuto, in particolare, che le previsioni sottoposte al vaglio del Giudice delle leggi, nel prevedere, ai fini del pagamento di somme ex lege Pinto, un termine dilatorio semestrale (decorrente dalla data in cui sono assolti gli obblighi comunicativi di cui al comma 1), entro il quale l’Amministrazione debitrice può effettuare il pagamento (comma 5) e prima del quale il creditore non può procedere all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto o alla proposizione di un ricorso per l’ottemperanza del provvedimento liquidatorio (comma 7), che va ad aggiungersi al termine di 120 giorni già previsto in via generale dall’art. 14 del decreto legge 669/1996, precluderebbe al creditore di procedere all’esecuzione forzata, ovvero di proporre ricorso per l’ottemperanza, anteriormente al decorso un termine complessivamente commisurato a dieci mesi.

Ritiene il Collegio di dissentire dalla pur pregevole ricostruzione operata dal rimettente Giudice ligure, in quanto la cumulabilità – e non, eventualmente, la giustapponibilità – dei due termini (sei mesi ex art. 5-sexies, comma 5; centoventi giorni ex dall’art. 14, comma 1, del decreto legge 31 dicembre 1996 n. 669, convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1997 n. 30) non trova argomenti di letterale conferma dalla lettura delle disposizioni.

Se, infatti:

– la norma da ultimo richiamata prevede che “Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto”,

– diversamente il (peraltro già riportato) comma 5 dell’art. 5-sexies consente all’Amministrazione l’effettuazione del pagamento entro sei mesi dalla data in cui sono integralmente assolti gli obblighi previsti ai commi precedenti (quindi, il rilascio della dichiarazione di cui al precedente comma 1).

Non è dato ravvisare la presenza di indicazioni normative volte a precludere che, a fronte dell’avvenuta presentazione della dichiarazione da ultimo indicata (testualmente preordinata ad attestare, fra l’altro, la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, nonché l’esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito), decorra – anche – il termine di cui all’art. 14, comma 1, della legge 669/1996 (avente avvio con la notificazione del titolo esecutivo), che ha valenza dilatoria ai fini della esercitabilità delle azioni in executivis, ovvero della notificazione del precetto.

Nel ribadire, alla stregua di quanto precedentemente illustrato, le ragioni di dissenso dalla ricostruzione argomentativa che ha condotto il T.A.R. della Liguria alla suindicata rimessione alla Corte Costituzionale, è necessario soggiungere come questo Collegio neppure ravvisi, nel quadro delle disposizioni come sopra introdotte dalla legge 208/2015, elementi che inducano a ritenere violati il principio del giusto processo, nonché il diritto ad un processo di ragionevole durata e ad un ricorso effettivo.

La Corte Costituzionale ha avuto recentemente (sentenza 19 febbraio 2016 n. 36) modo di pronunziarsi in ordine alla questione concernente la compatibilità dell’art. 2, commi 2-bis e 2-ter, della legge 24 marzo 2001 n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), come aggiunti dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Nell’accogliere solo parzialmente le plurime questioni di legittimità sollevate, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il solo comma 2-bis dell’art. 2 della legge 89/2001, nella parte in tale norma trova applicazione alla durata del processo di primo grado previsto dalla legge n. 89 del 2001.

Nella stessa pronunzia, il Giudice delle leggi ha rilevato che:

se “Dalla giurisprudenza europea consolidata si evince … il principio di diritto, secondo cui lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all’equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, che nella maggior parte dei casi sono più complesse, e che, comunque, non sono costruite per rimediare ad una precedente inerzia nell’amministrazione della giustizia (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 6 marzo 2012, G.G:. contro Italia; sentenza 27 settembre 2011, C.F. snc Diagnostica Medica Chirurgica contro Italia; sentenza 21 dicembre 2010, B. e C. contro Italia)

– “Ne consegue che l’art. 6 della CEDU, il cui significato si forma attraverso il reiterato ed uniforme esercizio della giurisprudenza europea sui casi di specie (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007), preclude al legislatore nazionale, che abbia deciso di disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell’equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento regolato dalla legge n. 89 del 2001 pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, anziché modellarla sul calco dei più brevi termini indicati dalla stessa Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza nazionale”.

È dato argomentare da quanto riportato – quantunque la questione ora sollevata dal T.A.R. della Liguria concerna non la durata del processo di equa riparazione, ma le procedure amministrative, successive, preordinate al concreto soddisfacimento delle ragioni creditorie sancite e liquidate con pronunzia giurisdizionale – che anche la commisurazione semestrale dello spazio temporale previsto per l’effettuazione del pagamento non evidenzi – ovviamente, nella rispettosa riserva di apprezzare quanto dalla Corte Costituzionale ritenuto in esito allo scrutinio della rimessione ad essa operata dal T.A.R. della Liguria – la presenza di emersioni normative suscettibili di rappresentare, prima facie, elementi di problematica compatibilità della disciplina ex lege 208 del 2015 rispetto ai parametri come sopra evocati dal Giudice rimettente.

Va soggiunto, in proposito, che la stessa Corte (sentenza 23 luglio 2015 n. 184) ha rammentato come la “Corte di Strasburgo …, nella sua massima composizione e dunque con pronuncia senz’altro valevole ad esprimere l’indirizzo vincolante del giudice europeo, ha accordato agli Stati un largo margine di apprezzamento nella costruzione di un rimedio compensatorio interno, che tenga conto delle peculiarità dell’ordinamento nazionale e dei livelli di vita del paese, fino al punto da giustificare indennizzi, pur sempre adeguati, ma inferiori a quelli ottenibili con un ricorso davanti alla Corte europea (Corte EDU, Grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino c. Italia; sentenza 29 marzo 2006, Cocchiarella c. Italia)”: confermando la presenza di “uno spazio per scelte discrezionali (sentenza n. 30 del 2014) che incidono sulla determinazione di quanto spetta a titolo di equa riparazione, purché esse siano esercitate nel rispetto dei principi cardine con cui la Corte di Strasburgo colora di significato l’art. 6 della CEDU e purché tali scelte non si prestino, in linea astratta, ad incidere sull’an stesso del diritto, anziché sul quantum”.

Le modalità di pagamento indicate dalla legge 208 del 2015 non appaiono, a questo Giudice, confliggere con le sopra riportate generali coordinate di compatibilità con la normativa CEDU, atteso che anche il differimento semestrale del pagamento non rivela, ex se riguardato, profili suscettibili di indurre ricadute pregiudizievoli per le ragioni creditorie vantate ex lege Pinto: piuttosto risolvendosi, anche in ragione della comparazione ponderativa con l’interesse alla individuazione delle necessarie compatibilità con gli assetti di finanza pubblica, in un non implausibilmente ragionevole esercizio di quelle prerogative di discrezionale apprezzamento da parte del Legislatore nazionale in sede di concreta configurazione attuativa della disciplina della materia di che trattasi.

Quanto sopra posto – ed escluso, quindi, che ad avviso di questo Collegio vengano in evidenza profili interpretativi delle disposizioni da ultimo richiamate suscettibili di determinarne, anche d’ufficio, la rimessione all’attenzione della Corte Costituzionale; ovvero, di consentire la c.d. “sospensione impropria” (cfr. ordinanza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 15 ottobre 2014 n. 28) del presente giudizio in attesa della pronunzia della Corte stessa in ordine alla questione ad essa rimessa – quanto alla presente controversia, l’assenza, della prova in ordine alla trasmissione, nei confronti dell’Amministrazione debitrice, della dichiarazione e della documentazione di cui all’art. 5 sexies, ultimo comma, della legge 89/2001, non consente al Collegio di esimersi dal dichiarare l’improcedibilità del ricorso.

Non si fa luogo a pronunzia sulle spese di lite in considerazione della mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe come proposto, lo dichiara improcedibile.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente, Estensore

Filippo Maria Tropiano, Referendario

Donatella Testini, Referendario