Demansionamento e Mobbing: natura del danno ed onere probatorio.

Amministrazioni militari o gerarchicamente organizzate Risarcimento del danno da Demansionamento e Mobbing  – Imputazione soggettiva dell’onere della prova – Al lavoratore l’onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito – Al datore di lavoro l’onere di provare l’assenza di una colpa a sé riferibile – Ricorso respinto.

ANNOTAZIONE

Degna di particolare nota è la sintesi espressa dal TAR Reggio Calabria nell’esame della questione relativa al risarcimento del danno per Demansionamento e Mobbing nell’ambito delle Amministrazioni militari o gerarchicamente organizzate. Nell’esaminare i casi  mobbing, “il giudice deve evitare di assumere acriticamente l’angolo visuale prospettato dal lavoratore che asserisce di esserne vittima: da un lato, infatti, è possibile che i comportamenti del datore di lavoro, pur se oggettivamente sgraditi, non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica; dall’altro, è possibile che gli atti del datore di lavoro (pur sgraditi) siano di per sé ragionevoli e giustificati in quanto indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo, o da difficoltà caratteriali, etc.. (T.A.R. Umbria, Sez. I, 24 settembre 2010 n. 469). Questa cautela “…di giudizio si impone particolarmente quando l’ambiente di lavoro presenta delle peculiarità, come nel caso delle Amministrazioni militari o gerarchicamente organizzate (come i Corpi di Polizia), caratterizzate per definizione da una severa disciplina e nelle quali non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate: infatti, in questa situazione un approccio condizionato dalla rappresentazione soggettiva (se non strumentale) fornita dall’interessato può essere quanto mai fuorviante” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 1168).” Il TAR RC si sofferma, inoltre a puntualizzare gli elementi costitutivi del mobbing, tenendo presente che, nel rapporto d’impiego pubblico, esso si sostanzia in una condotta del datore di lavoro (o del superiore gerarchico) “complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica; pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in particolare: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; d) dalla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie” (in tal senso, di recente, Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2016, n. 4509).


Pubblicato il 01/02/2017 – N. 00084/2017 REG.PROV.COLL. – N. 00443/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 443 del 2015 proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. …..

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, presso i cui Uffici, in via del Plebiscito n. 15, ha legale domicilio;

nei confronti di

– -OMISSIS-;
– -OMISSIS-;
entrambi rappresentati e difesi dall’avv…….

per l’accertamento

del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della condotta vessatoria posta in essere dalle parti resistenti;

e per la conseguente condanna in solido al risarcimento dei danni da mobbing, demansionamento e dequalificazione professionale.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, di -OMISSIS- e di -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2016 la dott. Donatella Testini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

…omissis…

3. Il ricorso non è fondato.

Nella sostanza il ricorrente fa valere, con il presente giudizio, i danni che gli sarebbero derivati sia dall’illegittimo “demansionamento” (vale a dire, dall’attribuzione di mansioni inferiori rispetto a quelle della sua qualifica di appartenenza) sia dal complessivo comportamento di mobbing posto in essere nei suoi confronti.

3.1. E’ nota in proposito la differenza tra le due situazioni: il mobbing, diversamente dall’altra figura, è caratterizzato dall’esistenza di un intento persecutorio da parte del datore di lavoro, intento che deve formare oggetto di dimostrazione da parte di chi rivendica il danno subìto, fermo restando che il demansionamento, qualora provochi danni morali e professionali, dà diritto al risarcimento indipendentemente dalla ulteriore sussistenza del mobbing (cfr., Consiglio di Stato, Sez. III, 12 gennaio 2015 n. 28 del 2015; T.R.G.A. Trentino – Alto Adige, Bolzano, 23 settembre 2015, n. 279 del 2015; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 marzo 2015, n. 342).

In ogni caso, i fatti portati a fondamento sia del danno da demansionamento, quanto del danno da mobbing, devono ricevere idonea dimostrazione in giudizio secondo il principio dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 c.c. e valido anche per le controversie portate dinnanzi alla giurisdizione amministrativa, secondo il quale chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

3.2. La giurisprudenza, in proposito, ha precisato che, ai fini di ritenere provato un danno da dequalificazione professionale attraverso il meccanismo delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., non è sufficiente a fondare una corretta inferenza presuntiva il semplice richiamo di categorie generali, come la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altri simili indici, dovendo invece procedere il giudice di merito, pur nell’ambito di tali categorie, ad una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto ignoto, alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza (di recente, in tal senso, Cass., Sez. lav., 18 agosto 2016, n. 17163).

Analogamente è a dirsi per la prova degli elementi costitutivi del mobbing, tenendo presente che, nel rapporto d’impiego pubblico, esso si sostanzia in una condotta del datore di lavoro (o del superiore gerarchico) “complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica; pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in particolare: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; d) dalla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie” (in tal senso, di recente, Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2016, n. 4509).

3.3. E così, per un verso, quanto al danno da demansionamento, la giurisprudenza ha evidenziato che, sul piano probatorio, sebbene l’obbligo del datore di lavoro di adibire il lavoratore alle mansioni rispondenti alla categoria attribuita o a mansioni equivalenti a quelle da ultimo svolte abbia natura contrattuale, tuttavia il contenuto del preteso demansionamento va comunque esposto nei suoi elementi essenziali dal lavoratore che non può, quindi, limitarsi genericamente a dolersi di essere vittima di un illecito, ma deve almeno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il Giudice amministrativo, anche con i suoi poteri officiosi, possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di una condotta illecita; ciò, peraltro, sul presupposto che l’illecito di demansionamento non è ravvisabile in qualsiasi inadempimento alle obbligazioni datoriali bensì soltanto nell’effettiva perdita delle mansioni svolte (in tal senso, da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 7 febbraio 2015, n. 2280).

Per altro verso, ed analogamente, quanto al danno da mobbing è stato ribadito che il lavoratore non può limitarsi, davanti al giudice, a dolersi genericamente di essere vittima di un illecito (ovvero ad allegare l’esistenza di specifici atti illegittimi), ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice amministrativo possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione (Cons. Stato, Sez. VI, 12 marzo 2015, n. 1282).

3.4. Con riguardo, poi, al danno – conseguenza, ossia allo specifico pregiudizio professionale, biologico ed esistenziale sofferto dal lavoratore, esso deve essere parimenti allegato e provato dal danneggiato, in quanto non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nelle suindicate categorie: non è sufficiente, in altre parole, dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, ma incombe sul lavoratore l’onere non solo di allegare gli elementi costitutivi del demansionamento o del mobbing, ma anche di fornire la prova, ex art. 2697 c.c., del danno non patrimoniale che ne è derivato e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (da ultimo, in tal senso, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, 26 giugno 2015, n. 8705 del 2015; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 12 marzo 2015, n. 725).

4. Nel caso di specie, il ricorrente è complessivamente venuto meno ai descritti oneri probatori.

Egli, a sostegno delle proprie pretese, ha dedotto le seguenti circostanze di fatto, di natura asseritamente persecutoria.

…omissis…

4.2.2. Come è noto, la condotta illecita di mobbingnon è ravvisabile quando sia assente la sistematicità degli episodi, ovvero i comportamenti su cui viene basata la pretesa risarcitoria siano riferibili alla normale condotta del datore di lavoro, funzionale all’assetto dell’apparato amministrativo (o imprenditoriale nel caso del lavoro privato), o, infine, quando vi sia una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale(Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008 n. 2015; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 8 ottobre 2008, n. 2438)” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 1168).

..omissis…

5.1. Appare evidente al Collegio, in conclusione, che:

– non sussistono i presupposti della condotta mobbizzante;

– la stessa dequalificazione professionale lamentata dal ricorrente si sostanzia, in definitiva, nella perdita dell’incarico relativo alla ……. (esonero richiesto dallo stesso ricorrente) e nel trasferimento del ….

Trattasi di compiti che, ai sensi dell’art. 848 del Codice dell’Ordinamento Militare, non rientrano nel profilo del personale degli Ispettori.

A ciò deve aggiungersi che l’Amministrazione ha tentato di affidare ulteriori compiti (quali quelli indicati in precedenza) al ricorrente, ma senza esito, per scelte imputabili solo a quest’ultimo.

5.2. Stando così le cose, le deduzioni in punto di illogicità e contraddittorietà per assenza di armonia e consequenzialità tra le qualità interne, i giudizi e la qualifica finale di “eccellente” nelle valutazioni caratteristiche relative al periodo per cui è causa (ed oggetto di autonomo gravame) sono prive di rilievo.

I giudizi formulati con le schede valutative dai superiori gerarchici, nell’ambito in questione, sono caratterizzati da una altissima discrezionalità tecnica (cfr. sentenza di questo Tribunale n. 204 del 24 settembre 2015 e precedenti ivi richiamati).

Nel caso di specie, l’esercizio di tale discrezionalità ha condotto ad una valutazione elevata che, considerato il quadro di insussistenza di una complessiva condotta vessatoria da parte del revisore e del compilatore, come fin qui accertata, non disvela ex se un intento punitivo e, a fortiori, non è idonea a provare l’esistenza dell’asserito disegno persecutorio.

5.3. Anche la mancata convocazione ad un’unica riunione, quella del 5 novembre 2014, infine, non può ritenersi rilevante all’assolvimento degli oneri probatori gravanti sul ricorrente, in quanto episodio isolato e non significativo.

….

6. Da ultimo, il Collegio si sofferma sui file audio depositati dal ricorrente e relativi alle conversazioni tenute ……

Trattasi di registrazioni che non sono state disconosciute da controparte e che dunque possono essere oggetto di prudente apprezzamento dal parte del giudice ai sensi dell’art. 2729 c.c. (Cass., Sez. lav., 8 maggio 2007, n. 10430).

Ebbene, dalle stesse non si evince alcun clima di ostilità nei confronti del ricorrente né di riconoscimento del demansionamento da parte del Comandante -OMISSIS- che, peraltro, quand’anche sussistente, non avrebbe alcun valore, poiché il ridetto demansionamento deve essere oggettivo e non certo rimesso alle valutazioni soggettive di chicchessia.

7. Alla luce delle su indicate circostanze, il Collegio ritiene che il ricorrente non abbia adempiuto (né si sia offerto di adempiere articolando prova testimoniale su circostanze in tal senso rilevanti) agli oneri probatori su di esso gravanti in materia.

Come è noto, “in relazione all’imputazione soggettiva dell’onere della prova, la giurisprudenza afferma la natura contrattuale della relativa azione risarcitoria, dal momento che quest’ultima rinviene il proprio presupposto nell’espletamento dell’attività lavorativa da parte del soggetto asseritamente leso e nella ritenuta violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo su di esso incombente ai sensi dell’art. 2087 c.c..

Pertanto, alla luce dei principi affermati dall’art. 1218 c.c., grava sul lavoratore l’onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito, mentre incombe sul datore di lavoro il solo onere di provare l’assenza di una colpa a sé riferibile.

In ordine all’onere della prova da offrirsi da parte del soggetto destinatario di una condotta mobbizzante, quest’ultima deve essere adeguatamente rappresentata con una prospettazione dettagliata dei singoli comportamenti e/o atti che rivelino l’asserito intento persecutorio diretto a emarginare il dipendente, non rilevando mere posizioni divergenti e/o conflittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rapporto lavorativo(T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 11 agosto 2009 n 4581; T.A.R. Lazio, Roma, III, 14 dicembre 2006 n. 14604);

– in altri termini, il mobbing, proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo, non può essere correlato in via esclusiva, ma neanche prevalente, al vissuto interiore del soggetto, ovvero all’amplificazione da parte di quest’ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 7.4.2008 n. 2877);

– in particolare, nell’esaminare i casi di preteso mobbing, il giudice deve evitare di assumere acriticamente l’angolo visuale prospettato dal lavoratore che asserisce di esserne vittima: da un lato, infatti, è possibile che i comportamenti del datore di lavoro, pur se oggettivamente sgraditi, non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica; dall’altro, è possibile che gli atti del datore di lavoro (pur sgraditi) siano di per sé ragionevoli e giustificati in quanto indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo, o da difficoltà caratteriali, etc.. (T.A.R. Umbria, Sez. I, 24 settembre 2010 n. 469);

– in altre parole, non si deve sottovalutare l’ipotesi che l’insorgere di un clima di cattivi rapporti umani derivi, almeno in parte, anche da responsabilità dell’interessato; tale ipotesi può, anzi, essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale;

– tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando l’ambiente di lavoro presenta delle peculiarità, come nel caso delle Amministrazioni militari o gerarchicamente organizzate (come i Corpi di Polizia), caratterizzate per definizione da una severa disciplina e nelle quali non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate: infatti, in questa situazione un approccio condizionato dalla rappresentazione soggettiva (se non strumentale) fornita dall’interessato può essere quanto mai fuorviante” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 1168).

Nel caso di specie, ritiene il Collegio che sia emerso, al più, un quadro di mancata realizzazione di personali aspirazioni del ricorrente ad occupare posizioni gradite che, per legittime esigenze di servizio, egli non ha potuto conseguire.

Conseguentemente, difetta radice uno degli elementi costitutivi della fattispecie foriera di danno e del conseguente obbligo risarcitorio ovvero la condotta mobbizzante o di dequalificazione, ragion per cui il ricorso va respinto.

8. Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti avuto riguardo alla natura delle questioni esaminate e alla delicatezza degli interessi coinvolti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, I comma, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-.

Così deciso in Reggio Calabria nelle camere di consiglio del giorno 23 novembre 2016 e 11 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Filippo Maria Tropiano, Referendario

Donatella Testini, Referendario, Estensore