Porto di fucile per uso caccia: il tempo e l’attualità degli elementi ostativi (frequentazioni).

NOTA/COMMENTO alla Sentenza del 20 luglio 2016 n. 841, TAR Calabria, Sez. di Reggio Calabria (Rel. / Est. Pres. Dott. R. Politi

 

 

  1. L’ANTEFATTO E IL FATTO OGGETTO DEL RICORSO.

I principi espressi nella sentenza in esame devono essere necessariamente letti ed inquadrati nell’ambito dei fatti dai quali la stessa pronuncia trae fondamento.

L’intera vicenda prende avvio dalla richiesta di licenza di porto di fucile per uso caccia che il ricorrente inoltrava alle autorità competenti a distanza di cinque anni da una precedente richiesta conclusasi con esito negativo. Dopo qualche tempo veniva notificato, al ricorrente, il decreto emesso in data 23/11/2015 dal Questore della Provincia di Reggio Calabria con cui veniva statuito quanto segue:

«LETTA l’istanza con la quale il sig. X Y, … ha chiesto il riesame del decreto di diniego dell’istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia nr. xxxxx adottato in data 09/12/2010”;

«RILEVATO che il citato provvedimento era stato adottato in conseguenza delle frequentazioni dell’istante con soggetti gravati da precedenti di polizia»;

«CONSIDERATO che non sussistono i presupposti per avviare un nuovo procedimento amministrativo in quanto l’interessato non ha prodotto elementi di novità suscettibili di rivalutazione rispetto alla precedente istruttoria»;

«VISTO il costante orientamento della Giustizia Amministrativa»;

«DECRETA è confermato il decreto nr xxxxxx adottato in data 09/12/2010, con il quale è stata respinta l’istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile uso caccia prodotto dal Sig. X Y nato il xxxx a xxxx (xx)».

Avverso il predetto atto di diniego il sig. XY decideva di proporre ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale Calabria, Sez. di Reggio Calabria.

  

  1. IL DIFETTO DI ISTRUTTORIA TRA ECCESSO DI POTERE E VIOLAZIONE DI LEGGE.

La genesi (rectius avvio) del procedimento sotteso al decreto oggetto dell’impugnazione manifesta un evidente vizio di eccesso di potere.

La mancanza di avvio di una qualunque forma di istruttoria, così come dichiarato nell’atto impugnato, dimostra per tabulas la contraddittorietà intrinseca del provvedimento confermativo oggetto di impugnazione. In altre parole, è la stessa “conferma” contenuta nel provvedimento che non risulta poggiare e sostenersi su una sostanziale e compiuta motivazione.

Una seconda contraddizione del procedimento/provvedimento, definibile estrinseca, si palesa dal confronto delle ragioni poste a fondamento dell’adozione del decreto impugnato, basate esclusivamente sulla ipotetica pericolosità del sig. XY che, molti anni prima, era stato controllato con soggetti gravati da precedenti di polizia.

Negando la licenza ed affermando che nulla è mutato, la Questura compie una valutazione che è sì ampiamente discrezionale ma che, tuttavia, come qualunque atto amministrativo deve necessariamente rappresentare l’approdo argomentativo e sillogistico di una, seppur minima, motivazione articolata sulla basa di una, seppur ridotta, istruttoria. Infatti, la contraddizione “in termini” consiste da una parte nel lasso di tempo trascorso dal precedente provvedimento negativo (cinque anni) e dall’altra parte dal fatto che nessuna istruttoria è stata compiuta prima di riaffermare l’attualità e la continuità nel tempo delle stesse frequentazioni.

L’illegittimità del provvedimento, ferme le motivazioni e argomentazioni suesposte, è, altresì, rinvenibile sotto il diverso ed autonomo profilo attinente alla violazione dell’art. 3 della legge sul procedimento amministrativo. Ed invero, nonostante la riconosciuta ampia discrezionalità di cui è titolare l’organo territoriale di Governo in relazione alla pericolosità del soggetto richiedente, non è invero derogabile che anche, in relazione al rilascio della licenza di porto di fucile, sussista l’obbligo in capo alla P.A. procedente, di motivare il provvedimento indicando le ragioni di fatto (oltre che le norme di diritto), che ne hanno determinato l’emanazione. Sul punto è lo stesso legislatore ad affermare necessaria la presenza di una motivazione “adeguata”, pena l’illegittimità dell’atto – provvedimento adottato dalla P.A.. Rappresenta principio giuridico consolidato quello secondo cui: «La motivazione di un provvedimento amministrativo consiste nella enunciazione delle ragioni di fatto e nella individuazione delle relative norme di diritto che ne hanno giustificato il contenuto, ed è finalizzata a consentire al destinatario del provvedimento la ricostruzione dell’iter logico-giuridico che ha determinato la volontà dell’Amministrazione consacrata nella determinazione a suo carico adottata; pertanto la motivazione degli atti amministrativi costituisce uno strumento di verifica del rispetto dei limiti della discrezionalità allo scopo di far conoscere agli interessati le ragioni che impongono la restrizione delle rispettive sfere giuridiche o che ne impediscono l’ampliamento, e di consentire il sindacato di legittimità sia da parte del giudice amministrativo che eventualmente degli organi di controllo, atteso il disposto di cui all’art. 3 L.241/1990, secondo cui ogni provvedimento amministrativo deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione» (tra le numerose, T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 25 marzo 2009, n. 1610).

Con precipuo riferimento, poi, agli atti di natura discrezionale, alla cui categoria appartiene certamente l’atto impugnato, rappresenta ius receptum il principio secondo cui: I provvedimenti amministrativi discrezionali vanno motivati con particolare riferimento alla situazione specifica su cui l’atto incide e alle ragioni concrete che sorreggono la scelta amministrativa, così come peraltro ora richiesto dall’art 3, l. 7 agosto 1990 n.241» (Consiglio di Stato, sez.IV, 31 gennaio 1995, n. 36).

L’insopprimibile esigenza di rappresentare ed esteriorizzare le ragioni di fatto (oltre che le norme giuridiche) poste a fondamento di un provvedimento negativo, assurge ad espressione e manifestazione del più generale principio di legalità in ambito amministrativo (art.97, primo comma, Cost.), in base al quale la pubblica amministrazione deve agire secondo legge (art.3, L. n. 241/90), sì da rendere possibile ed attuabile un sindacato giurisdizionale (artt. 24, 103 e 113 Cost.) in merito alle proprie scelte. Tale ineludibile esigenza è stata del tutto disattesa nella fattispecie in esame e, correlativamente, risulta palesemente violato il principio di legalità ad essa sotteso. Alcuna motivazione, infatti, è possibile trarre dal sintetico e criptico decreto di diniego trasmesso al sig. X Y, laddove è evidente che il riferimento ad un generico “pericolo” dovuto a frequentazioni con soggetti pregiudicati rappresenta, di per sé solo, l’insussistenza delle premesse fattuali, dalla quale soltanto la normativa attributiva del potere fa derivare l’adozione di un provvedimento negativo.

Dunque anche sotto il profilo della carente e/o insufficiente motivazione l’atto impugnato deve dirsi assolutamente illegittimo, così come carente di una qualsivoglia effettiva manifestazione delle ragioni che hanno condotto la Questura di Reggio Calabria alla emanazione del relativo provvedimento.

 

  1. IL DECORSO DEL TEMPO: ELEMENTO DA SOLO SUFFICIENTE A GIUSTIFICARE UN EFFETTIVO E COMPLETO RIESAME DEL PROVVEDIMENTO.

Il TAR Reggio Calabria nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 84, in merito alla rilevanza del tempo trascorso tra le due richieste di autorizzazioni (circa 5 anni) avanzate dal ricorrente, ribadisce un importante principio che può essere sintetizzato con le chiare e puntuali parole dello stesso Collegio: «…in materia di autorizzazioni e licenze di pubblica sicurezza, un eventuale riesame può essere giustificato non solo da fatti sopravvenuti, ma anche semplicemente dal decorso del tempo, in quanto la valutazione della personalità dell’interessato deve essere sempre riferita allo stato attuale ed alla prova di sé che questi abbia dato nei tempi più recenti».

In estrema sintesi, nel caso di specie, il Questore innanzi ad una nuova richiesta di licenza di porto di fucile ad uso caccia da parte del ricorrente, giunta a distanza di cinque anni dal primo provvedimento negativo adottato nel 2010, ha deciso di non compiere alcuna nuova istruttoria limitandosi a confermare, con una mera e non velata clausola di stile, il contenuto del precedente vecchio decreto.

Nel caso di specie il decreto di conferma del precedente provvedimento è stato implicitamente considerato dal G.A. come un atto autonomamente impugnabile e non come un semplice atto “meramente confermativo”. La Pubblica Amministrazione, infatti, a seguito di un autonomo procedimento amministrativo avviato dal ricorrente a fine 2015, avrebbe potuto e dovuto pervenire, attraverso una rinnovata istruttoria ed una compiuta motivazione, ad una nuova determinazione, che solo dopo aver espletato l’iter procedimentale avrebbe potuto, legittimamente, essere anche coincidente con quanto statuito con il precedente provvedimento. In tal caso, il ricorrente, in ipotesi di esito negativo, avrebbe potuto leggere le motivazioni “attuali” connotanti detto diniego della licenza a distanza di cinque anni dal precedente provvedimento (sul punto si veda per tutte, cfr. TAR Napoli, III,n. 3042 del 30 aprile 2008) potendo così, effettivamente, esercitare pienamente il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito in ogni stato e grado del procedimento. Il significativo arco temporale trascorso dal vecchio decreto non può tuttavia consentire «all’amministrazione di reiterare, puramente e semplicemente, proprie precedenti determinazioni negative, in difetto peraltro di una nuova istruttoria. In altri termini, la mera reiterazione dell’atto sfavorevole per il privato, visto il notevole lasso di tempo trascorso, non può sostanzialmente definirsi atto di mera conferma essendo mutato il quadro fattuale di riferimento presupponendo concettualmente la mera conferma l’invarianza (in un arco di tempo di regola non lungo) dei dati di riferimento. Ne deriva che, anche avuto riguardo alla condotta personale del ricorrente, l’Amministrazione avrebbe dovuto compiutamente istruire l’istanza e debitamente motivare in maniera puntuale le proprie scelte, in particolare la scelta adottata di non rilasciare l’autorizzazione richiesta» (TAR Calabria CZ (Sez. I), Sentenza n. 598/2012 Reg. Prov. Coll. e N. 544/2009 Reg. Ric.).

 

  1. L’INAMMISSIBILITÀ DELL’INVERSIONE DELL’ONERE PROBATORIO A CARICO DELLA PARTE RICHIEDENTE.

Il TAR Reggio Calabria nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 841 sottolinea, inoltre, un secondo principio degno di essere messo in evidenza nell’ambito di una materia in cui la P.A. possiede, anche per giurisprudenza consolidata, un enorme “potere” discrezionale, ossia: l’inammissibilità, in materia di autorizzazioni e licenze di pubblica sicurezza, del’ inversione dell’onere probatorio a carico della parte richiedente il riesame del provvedimento alla luce del fatto che è l’autorità competente per il rilascio del titolo a dover accertare la presenza, o meno, degli elementi ostativi indicati nel T.U.L.P.S.

Testualmente, il TAR Reggio Calabria, nella parte motiva della sentenza in esame, dichiara che: «Se, conseguentemente, il provvedimento è inficiato sotto il profilo motivazionale – atteso che assume la persistenza di profili inibitori al rilascio del titolo, affatto indimostrati; e per i quali, invero inammissibilmente, viene postulata una sorta di inversione dell’onere probatorio a carico della parte richiedente (laddove, diversamente, è l’autorità competente per il rilascio del titolo a dover accertare la presenza, o meno, degli elementi ostativi indicati nel T.U.L.P.S.) – va parimenti rilevata l’assoluta carenza di attività istruttoria prodromica all’adozione della gravata determinazione».

 

  1. LA NECESSARIA PERSISTENTE ATTUALITÀ DEGLI ELEMENTI OSTATIVI AL RILASCIO DEL TITOLO DI POLIZIA.

Il TAR di Reggio, infine, puntualizza nella sentenza del 20 luglio 2016 n. 841 un terzo principio «…a fronte della circostanza che i soli elementi sfavorevoli all’interessato risalgono a date non successive all’anno 2010, la successiva emanazione di un divieto motivato unicamente con riferimento alla mancata adduzione di fatti nuovi rispetto a circostanze così nel tempo risalenti, appare obiettivamente carente di motivazione, avuto riguardo all’esigenza, incombente sulla procedente Amministrazione, di dimostrare, compiutamente, la persistente attualità degli elementi a suo tempo ritenuti ostativi al rilascio del titolo di polizia di che trattasi».

L’attualità degli elementi ostativi al rilascio del titolo, in materia di autorizzazioni e licenze di pubblica sicurezza, non può essere considerata come un elemento acquisito una volta per sempre. L’attualità degli elementi ostativi deve essere, di volta in volta, il frutto di una specifica istruttoria che tenga conto del fattore “tempo”, del suo trascorrere e degli effetti che lo stesso ha nelle dinamiche personali e relazionali.