Informativa antimafia: si consolida il criterio “del più probabile che non”.

Ricorso avverso informativa ex artt. 84 e 91 D.Lgs n. 159/2011 –  Criterio del “più probabile che non” –  Giudizio probabilistico basato su di una regola di normalità causale secondo l’id quod plerumque accidit ed integrata dal principio del rischio specifico – Motivazione del provvedimento prefettizio, ispirato a finalità preventive, indicante gli elementi di fatto posti alla base della valutazione prognostica negativa- Rigetto del ricorso.


MASSIME ESTRAPOLATE DEL CORPO MOTIVAZIONALE DELLA SENTENZA

TAR, sez. Reggio Calabria – Sentenza Pubblicata 05/05/2017 – N. 00431/2017 REG.PROV.COLL

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L’inibitoria antimafia, costituendo la massima anticipazione di tutela preventiva dello Stato dal crimine organizzato, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi, in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento di una determinata impresa con organizzazioni mafiose oppure la sussistenza di un condizionamento dell’impresa stessa da parte delle consorterie“.

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“…Il sindacato giurisdizionale di legittimità non può che essere diretto ad accertare l’assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere, quanto all’accuratezza dell’istruttoria, alla completezza dei dati e fatti acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti stessi, alla sufficienza della motivazione ed alla logicità e ragionevolezza delle conclusioni, rispetto ai presupposti ed agli elementi di fatto presi in considerazione“.

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Il Supremo Consesso ha individuato nel criterio del “più probabile che non” (criterio individuato invero dal Giudice di legittimità onde qualificare la precipua natura della causalità civile rispetto a quella penale, segnatamente in tema di omissione colposa del medico, su cui le note SSUU nn. 580/2008) l’essenza della regola di giudizio da utilizzarsi onde ritenere il pericolo di condizionamento e trarre così dal quadro indiziario d’insieme il giudizio negativo di pericolosità che fonda la misura interdittiva“.

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“… la regola di inferenza da utilizzarsi al fine di individuare il pericolo di insinuazione mafiosa è quella incentrata su di un giudizio probabilistico basato su di una regola di normalità causale secondo l’id quod plerumque accidit ed integrata dal principio del rischio specifico“.

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“… la motivazione del provvedimento prefettizio, ispirato a finalità preventive, debba indicare gli elementi di fatto posti alla base della valutazione prognostica negativa, desunti da una eterogenea serie di circostanze qualificate le quali riguardate sinotticamente depongano per il pericolo di condizionamento criminale“.


Pubblicato il 05/05/2017 – N. 00431/2017 REG.PROV.COLL

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 451 del 2015, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avvocati ….omissis…

contro

Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15;

per l’annullamento

della nota della Prefettura di Reggio Calabria – Ufficio Territoriale del Governo, recante informazione antimafia ex art. 91 e ss. del D.lgs. 6 settembre 2011 n.159 e successive modifiche, prot. n. …./W del … 2015, prot. uscita n. …. relativa all’ impresa individuale “-OMISSIS-” , con sede legale in via -OMISSIS-,….

delle comunicazioni effettuate ai sensi del comma 7 bis dell’art.91 D. lgs 159/11 e ss. mm.;

nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Reggio Calabria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2017 il dott. Filippo Maria Tropiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.L’esponente ha impugnato l’informativa antimafia indicata in epigrafe, lamentandone l’illegittimità in ragione i seguenti motivi di gravame:

Violazione di legge: violazione e falsa applicazione degli artt. 84 e 91 D.Lgs n. 159/2011, come modificato dal D.Lgs 15 novembre 2012 n. 218. Eccesso di potere per travisamento, erronea valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria. Carenza ed illogicità della motivazione.

…omissis…

3. Nel merito il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

…omissis…

4. Tanto premesso, il Collegio rammenta che l’inibitoria antimafia, costituendo la massima anticipazione di tutela preventiva dello Stato dal crimine organizzato, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi, in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento di una determinata impresa con organizzazioni mafiose oppure la sussistenza di un condizionamento dell’impresa stessa da parte delle consorterie.

Ed invero, la misura interdittiva antimafia non richiede il massimo grado di certezza dei suoi presupposti, né l’accertamento, in sede penale, di carattere definitivo in ordine all’esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose ed al condizionamento in atto dell’attività di impresa, essendo sufficiente, al riguardo, la semplice dimostrazione del pericolo del pregiudizio, mediante il riferimento ad alcuni fatti sintomatici ed indizianti che, considerati e valutati nel loro complesso, inducano ad ipotizzare la sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata.

La misura interdittiva deve fondarsi su elementi attuali e pertinenti, dai quali sia ragionevolmente desumibile un tentativo di ingerenza nella compagine sociale; e ciò per la ovvia considerazione che le informative antimafia non suppongono alcuna prova inconfutabile circa l’intervenuta infiltrazione, ma devono dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza, che non può coincidere con il mero sospetto, ma richiede un quid pluris, fondato, appunto, su oggettivi elementi, atti a far denotare il rischio concreto di condizionamenti (ex plurimis: Cons. Stato Sez. III 3.9.2013 n. 4402.).

Invero, la delicatezza delle questioni involte e delle conseguenti ricadute socio-economiche impongono all’autorità procedente, nell’esercizio del suo potere discrezionale, una corretta e ponderata valutazione degli interessi in conflitto – quello privato, relativo alla libertà d’impresa e quello relativo alla tutela dell’ordine pubblico- e dell’uso delle risorse pubbliche (v. Consiglio di Stato sez. V 27 agosto 2012 n. 4601).

In tale ottica, l’esercizio del potere interdittivo presuppone la concomitanza di un quadro di oggettiva rilevanza, dal quale possano desumersi elementi che, secondo un giudizio probabilistico, o, anche, secondo comune esperienza, possano far presumere non una attuale ingerenza delle organizzazioni mafiose negli affari, ma una effettiva possibilità che tale ingerenza sussista o possa sussistere (v. Cons. Stato, Sez. VI, 3.3.2010 n. 1254; T.A.R. Calabria-Catanzaro Sez. I, 1.3.2010 n. 248; TAR Calabria-Reggio Calabria, 20.10. 2010, n. 943).

Con la conseguenza che dall’ampia potestà discrezionale attribuita alla P.A. in materia, non può che discendere un puntuale adempimento dell’obbligo di congrua esternazione motivazionale (art. 3 legge n. 241/1990), che possa dare contezza di un’adeguata istruttoria, intesa all’accertamento ed alla verifica degli elementi indizianti, posti a supporto della decisione amministrativa.

Correlativamente, il sindacato giurisdizionale di legittimità non può che essere diretto ad accertare l’assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere, quanto all’accuratezza dell’istruttoria, alla completezza dei dati e fatti acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti stessi, alla sufficienza della motivazione ed alla logicità e ragionevolezza delle conclusioni, rispetto ai presupposti ed agli elementi di fatto presi in considerazione.

Il quadro esaustivo della rilevanza indiziaria e della decisività, ai fini del giudizio sul pericolo di insinuazione, dei vari elementi e/o circostanze sintomatiche (che l’Autorità usualmente utilizza nel provvedimento interdittivo), è stato illuminato dalla sentenza “manifesto” n. 1743/2016 emessa dalla III Sezione del Consiglio di Stato in data 31 marzo 2016, pubblicata il 3 maggio successivo ( reiterata nelle pur recenti decisioni n. 2774/2016 e 3889/2016 rese dalla medesima sezione) .

Il Supremo Consesso ha individuato nel criterio del “più probabile che non” (criterio individuato invero dal Giudice di legittimità onde qualificare la precipua natura della causalità civile rispetto a quella penale, segnatamente in tema di omissione colposa del medico, su cui le note SSUU nn. 580/2008) l’essenza della regola di giudizio da utilizzarsi onde ritenere il pericolo di condizionamento e trarre così dal quadro indiziario d’insieme il giudizio negativo di pericolosità che fonda la misura interdittiva.

Il che è, a ben vedere, quanto già in epoca precedente opinato da questo TAR, laddove questo Giudice aveva già affermato che la regola di inferenza da utilizzarsi al fine di individuare il pericolo di insinuazione mafiosa è quella incentrata su di un giudizio probabilistico basato su di una regola di normalità causale secondo l’id quod plerumque accidit ed integrata dal principio del rischio specifico ( sentenze nn. 650/2014, 751/2014 e 227/2016).

In sostanza, al di là della esatta individuazione della regola logico-giuridica di inferenza causale da utilizzarsi, l’interpretazione giurisprudenziale come consolidatasi nell’ultimo torno di tempo postula che la motivazione del provvedimento prefettizio, ispirato a finalità preventive, debba indicare gli elementi di fatto posti alla base della valutazione prognostica negativa, desunti da una eterogenea serie di circostanze qualificate le quali riguardate sinotticamente depongano per il pericolo di condizionamento criminale.

Tenendo presente che, ciò che conta ai fini dell’adozione dell’informativa antimafia interdittiva, non è la prova delle attualità delle infiltrazioni mafiose ma semplicemente la visione “d’insieme” dei vari elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose nonché dell’attualità e concretezza del rischio.

5. Posto ciò, il Collegio rileva che la Prefettura ha fatto buon uso del potere intestato e ha condotto una valutazione apparentemente immune da vizi logici e/o da travisamenti di fatto, siccome esito di una ponderazione complessiva della situazione indiziaria e fattuale come risultante dagli atti a supporto.

Il ragionamento fatto proprio dalla Prefettura appare congruo e plausibile, avendo essa globalmente considerato tutti i predetti elementi, i quali valutati nel loro insieme lasciano prefigurare il pericolo di infiltrazione come paventato nel giudizio finale reso dall’Autorità.

Va infatti ribadito che ciò che rileva non è la prova sicura dell’avvenuto condizionamento, né la volontarietà dei contatti “sconvenienti” da parte dei titolari delle imprese bensì la probabilità che il condizionamento tenga luogo.

Ora, il quadro complessivo come emergente dalla visione sinottica e contestuale di tutti i suddetti elementi, non può che portare alla prognosi negativa ritenuta dall’Autorità, secondo un giudizio di pericolosità ispirato al criterio della normalità causale integrato dal principio del rischio specifico (v. i precedenti di questo TAR sentenze n. 650/2014 e 751/2014).

Ed invero il Prefetto ha evidentemente valorizzato:

– i significativi legami parentali, non isolatamente considerati, bensì letti nella visione d’insieme;

– la posizione del figlio della titolare e segnatamente i fatti indicati nell’interdittiva e negli atti a supporto;

– le frequentazioni dei soggetti vicini alla titolare e la serie di circostanze pure menzionate nelle informative in cui sono coinvolti i medesimi.

Va da sé che il rilevante quadro indiziario conduce agevolmente verso quel giudizio probabilistico, rispetto alla possibilità di condizionamento, che la giurisprudenza recente ha elevato a criterio – guida onde inferire il pericolo di insinuazione criminale.

Così come è di palmare evidenza che taluni errori in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione, nel menzionare il dedotto rapporto di parentela tra ….omissis… disvelano una scarsa significatività a fronte delle numerose circostanze fattuali che colorano la pregnanza il quadro indiziante generale.

Stesso discorso va fatto per le imprecisioni contestate dalla difesa del ricorrente in ordine alla intervenuta assoluzione dello -OMISSIS- dal procedimento penale citato nell’interdittiva ed alla errata riferibilità dell’O.C.C. a suo carico, che pure sarebbe stata erroneamente valorizzata dalla Prefettura.

In sostanza, il giudizio negativo reso dalla Prefettura non pare incentrato su meri fatti atomisticamente intesi, ma si fonda su di una visione “sinottica” e “di insieme” che vede la titolare della impresa ed il di lei figlio comunque vicini e ad un contesto socio-familiare e ad un humus socio-culturale assolutamente caratterizzato, tale da condurre a quel giudizio di pericolosità circa il probabile “contagio” che la Prefettura ha ragionevolmente fatto proprio.

E ciò, vale la pena ribadirlo, indipendentemente dalla volontarietà o meno delle circostanze addotte e delle frequentazioni; essendo questa, del resto, l’essenza del giudizio oggettivo di pericolosità che il Prefetto deve condurre.

Per l’effetto nessun profilo di illegittimità è ravvisabile negli atti gravati, tutti i motivi di ricorso devono essere rigettati, siccome infondati, con conseguente reiezione del gravame.

Sussistono tuttavia i presupposti di legge per compensare le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

– rigetta il ricorso;

– compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche menzionate nel presente provvedimento.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Filippo Maria Tropiano, Referendario, Estensore

Donatella Testini, Referendario