Detenzione e porto d’armi e munizioni: per la revoca della licenza occorre una specifica e puntuale motivazione.

Divieto di detenzione armi, munizioni e materiale esplodente – Provvedimento di revoca anticipata degli effetti delle licenze di polizia – Carenza di elementi e/o circostanze di fatto suscettibili di rappresentare l’inidoneità al mantenimento del titolo di polizia, ovvero la possibilità che il titolare di esso possa abusare delle armi – Accoglimento del ricorso con conseguente annullamento degli atti impugnati.


ANNOTAZIONE

Con la Sentenza n. 45 del 2017 il TAR Calabria, sez. Reggio Calabria offre un quadro sintetico e di immediato valore interpretativo delle norme e della giurisprudenza in materia di autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi. Di seguito si riportano alcuni stralci della motivazione della predetta sentenza ritenuti di maggiore interesse sistematico.

  1. Come ha rilevato la Corte Costituzionale (con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha condiviso quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi «costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 del codice penale e dall’art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975»: «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi»;
  2. La giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2015 n. 2162 e 14 ottobre 2014 n. 5398) ha, poi, affermato che “la valutazione al riguardo dell’Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2013 n. 4666)”.
  3. L‘autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi postula che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 11 marzo 2015 n. 1270);
  4. la valutazione che compie l’Autorità di Pubblica Sicurezza in materia è caratterizzata da un’ampia discrezionalità e persegue lo scopo, anche in relazione a considerazioni di carattere “localistico”, di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili;
  5. il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2015 n. 2158 e 14 ottobre 2014 n. 5398);
  6.  il nostro ordinamento è ispirato a regole limitative della diffusione e possesso dei mezzi di offesa;
  7. i provvedimenti che consentono la detenzione ed utilizzo delle armi sono caratterizzati da “connotazioni concessorie di una prerogativa che esula dall’ordinaria sfera soggettiva delle persone“;
  8. nel “bilanciamento degli interessi coinvolti, assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato“.

 Nel caso di specie, ossia di revoca anticipata degli effetti delle licenze di polizia, “se la revoca non è disposta per ragioni di carattere personale (prese in considerazione dagli articoli 11 e 43 del testo unico), ma per valutazioni generali di ordine pubblico (ai sensi degli articoli 40 e 42), “occorre una specifica motivazione sulle cause che inducano ad una tale misura, che cioè espliciti il perché si ritenga necessario ridurre il numero delle licenze e delle armi in circolazione”.


Pubblicato il 17/01/2017 – N. 00045/2017 REG.PROV.COLL. – N. 00915/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso n. 915 del 2016, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. …

contro

– il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;
– la Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto p.t.;
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, presso la quale sono elettivamente domiciliati, in Reggio Calabria, alla via del Plebiscito n. 15

per l’annullamento

– del provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame e revoca del decreto di divieto di detenzione di armi e munizioni prot. n. ……D.A.A. – Area 1^ bis, fascicolo …./W, emesso e notificato il 26 settembre 2016 dalla Prefettura di Reggio Calabria, con il quale è stato confermato il provvedimento di divieto per il ricorrente di detenzione armi, munizioni e materiale esplodente, già emesso con decreto prot. n…./W/D.D.A. Area 1^ bis del 3 novembre 2015 e notificato il 17 dicembre 2015, con facoltà di cessione delle armi e munizioni detenute entro il termine di giorni 150, anch’esso con il presente mezzo di tutela impugnato.

– nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Espone il ricorrente che, con decreto del 3 novembre 2015, notificato il successivo 17 dicembre, la Prefettura di Reggio Calabria ha fatto divieto al medesimo, già guardia particolare giurata, di detenere armi, munizioni e materiale esplodente.

La motivazione del citato provvedimento prefettizio si è soffermata, in particolare, sul contenuto della lettera di licenziamento al ricorrente inviata dal datore di lavoro (-OMISSIS-), che evidenziava quanto segue:

a causa dei problemi personali e familiari da lei manifestati che, oggettivamente, ormai da tempo si ripercuotono negativamente in ambito lavorativo manifestandosi in scarsa attenzione, mancanza di tranquillità, demotivazione, nervosismo, … riteniamo opportuno, a tutela della sua ed altrui incolumità, cessare il rapporto di lavoro …”.

Soggiunge l’interessato di aver impugnato il suindicato licenziamento; ed evidenzia, in proposito, che le parti, convenute dinanzi al Giudice del Lavoro, si accordavano per una soluzione bonaria della controversia, con conversione del licenziamento stesso in risoluzione del rapporto per riduzione di personale (e riconoscimento all’interessato di un importo, pari ad € ….., a titolo di risarcimento danni).

Il sig. XXX promuoveva quindi, dinanzi alla Prefettura di Reggio Calabria, istanza di riesame del provvedimento sopra citato; in esito alla quale tale determinazione veniva confermata, escludendosi l’emersione di nuovi elementi suscettibili di condurre ad una rimeditazione del precedente provvedimento di divieto.

Insorge ora il ricorrente avverso tale atto, assumendone l’illegittimità per i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione della legge 7 agosto 1990 n. 241, art. 7. Omessa comunicazione di avvio del procedimento. Mancanza di motivazione e di indicazione sulle particolari esigenze di celerità, dedotte al fine di giustificare l’omissione. Violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.).

2) Violazione di legge: artt. 11 e 39 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere per irragionevolezza ed ingiustizia, per insufficiente ed inadeguata motivazione, per insufficiente istruttoria e contraddittorietà tra più atti successivi.

Conclude la parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame ed il conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

La rilevata sussistenza dei presupposti indicati all’art. 60 c.p.a. consente di trattenere la presente controversia – portata all’odierna Camera di Consiglio ai fini della delibazione dell’istanza cautelare dalla parte ricorrente incidentalmente proposta – ai fini di un’immediata definizione nel merito.

Prevede infatti la disposizione da ultimo citata che, “in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata”.

Nel precisare che le parti presenti all’odierna Camera di Consiglio sono state al riguardo sentite, il ricorso all’esame si rivela fondato.

1. La normativa suscettibile di applicazione alla controversia all’esame è rappresentata:

– dall’art. 11 del TULPS di cui al R.D. 18 giugno 1931 n. 773, che così dispone:

Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione.”

– dall’art. 43 dello stesso TULPS, che stabilisce:

Oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:

a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;

c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.

2. Il Testo Unico, nel disciplinare il rilascio della «licenza di porto d’armi», mira a salvaguardare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Come ha rilevato la Corte Costituzionale (con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha condiviso quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi «costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 del codice penale e dall’art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975»: «il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi».

Ciò comporta che – oltre alle disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 – rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali.

Inoltre, oltre alle disposizioni del testo unico che riguardano i requisiti di ordine soggettivo dei richiedenti (in particolare, gli articoli 11, 39 e 43), rilevano quelle (in particolare, gli articoli 40 e 42) che attribuiscono in materia i più vasti poteri discrezionali per la gestione dell’ordine pubblico:

– per l’art. 40, «il Prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell’autorità di pubblica sicurezza o dell’autorità militare» (il che significa che il Prefetto può senz’altro disporre il ritiro delle armi, purché, ovviamente, sussistano le idonee ragioni da palesare nel relativo provvedimento);

– per l’art. 42, «il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d’armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65» (il che significa che il Prefetto può anche fissare preventivi criteri generali per verificare se nei casi concreti vi sia il «dimostrato bisogno» di un porto d’armi per difesa personale, in rapporto ai profili coinvolti dell’ordine pubblico).

3. La giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2015 n. 2162 e 14 ottobre 2014 n. 5398) ha, poi, affermato che “la valutazione al riguardo dell’Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2013 n. 4666)”.

Nell’osservare come l’autorizzazione al possesso delle armi non integri un diritto, ma costituisca, piuttosto, il frutto di una valutazione discrezionale nel quale devono unirsi la mancanza di requisiti negativi e la sussistenza di specifiche ragioni positive, deve ritenersi che la regola generale sia rappresentata dal divieto di detenzione delle armi, che la autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuovere in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire.

Va, poi, rilevato che il Ministero dell’Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, ben può effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d’armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che – in rapporto all’ordine ed alla sicurezza pubblica – si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni.

Gli organi del Ministero dell’Interno, ad esempio, possono decidere di restringere la diffusione e l’uso delle armi, quando occorra affrontare le situazioni locali ove sono radicate organizzazioni criminali.

In tal caso, l’Amministrazione può predisporre criteri rigorosi in base ai quali le istanze degli interessati vadano esaminate tenendo conto della esigenza di evitare la diffusione delle armi: a maggior ragione nei contesti ove è più difficile la gestione dell’ordine pubblico, è del tutto ragionevole che ci si orienti verso valutazioni rigorose, anche sulla sussistenza dei presupposti tali da far ravvisare la completa affidabilità del richiedente.

A parte l’esigenza di affrontare le emergenze della criminalità organizzata, gli organi del Ministero dell’Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l’ordine e la sicurezza pubblica.

Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l’appartenenza ad una ‘categoria’ non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d’armi.

Spetta infatti al legislatore introdurre una specifica regola se l’appartenenza ad una ‘categoria’ giustifica il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati (tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore).

Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, ecc., in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l’appartenenza alla ‘categoria’ in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio della licenza di porto d’armi.

Le relative valutazioni degli organi del Ministero dell’Interno – anche quando si tratti di istanze di licenze volte alla difesa personale – possono e devono tener conto delle peculiarità del territorio, delle specifiche implicazioni di ordine pubblico e delle situazioni specifiche in cui si trovano i richiedenti, ma si possono basare anche su criteri di carattere generale, per i quali l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo.

Qualora l’organo periferico del Ministero dell’Interno si orienti nel senso che l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o di rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo.

La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze può basarsi dunque sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l’accoglimento e l’interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze (Cons. Stato, sez. III, 6 giugno 2016 n. 2417).

Inoltre, sono configurabili profili di eccesso di potere, qualora l’Amministrazione – nel respingere l’istanza in quanto formulata da un appartenente ad una categoria per la quale non si sono ravvisati particolari esigenze da tutelare col rilascio della licenza di porto d’armi – invece abbia accolto l’istanza di chi versi in una situazione sostanzialmente equivalente: secondo i principi generali, chi impugna un diniego di licenza ben può dedurre che, in un caso equivalente (anche per circostanze di tempo e di luogo), l’istanza di altri sia stata invece accolta.

Ben diverso è l’onere di motivazione, qualora l’Amministrazione decida di disporre la revoca anticipata degli effetti delle licenze di polizia, prima della scadenza dei loro effetti.

In tal caso, se la revoca non è disposta per ragioni di carattere personale (prese in considerazione dagli articoli 11 e 43 del testo unico), ma per valutazioni generali di ordine pubblico (ai sensi degli articoli 40 e 42), occorre una specifica motivazione sulle cause che inducano ad una tale misura, che cioè espliciti il perché si ritenga necessario ridurre il numero delle licenze e delle armi in circolazione.

4. Può, sinteticamente, affermarsi che:

l’autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 11 marzo 2015 n. 1270);

– la valutazione che compie l’Autorità di Pubblica Sicurezza in materia è caratterizzata, quindi, da ampia discrezionalità e persegue lo scopo, anche in relazione a considerazioni di carattere “localistico”, di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili;

– il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2015 n. 2158 e 14 ottobre 2014 n. 5398).

Inoltre, va rammentato come il nostro ordinamento sia ispirato a regole limitative della diffusione e possesso dei mezzi di offesa, tant’è che i provvedimenti che ne consentono la detenzione ed utilizzo vengono ad assumere – su un piano di eccezionalità – connotazioni concessorie di una prerogativa che esula dall’ ordinaria sfera soggettiva delle persone.

Ciò determina che, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato.

5. L’applicazione degli esposti principi alla dedotta vicenda contenziosa, induce il Collegio a ravvisare la fondatezza delle doglianze esposte con il mezzo di tutela all’esame, nei limiti di quanto infra precisato.

In particolare, il decreto prefettizio oggetto di gravame dimostra, al parti del provvedimento del 2015 recante divieto di detenzione armi, una insufficienza ed inadeguatezza motivazionale, suscettibili di infirmarne la legittimità.

Se l’atto adottato in data 26 settembre 2016 si limita a rilevare che “non ravvisandosi nuovi elementi tali da indurre ad una positiva rivalutazione della posizione della S.V., questo Ufficio non procederà a revocare il provvedimento di divieto detenzione armi, munizioni ed esplosivi a suo tempo emesso nei suoi confronti”, l’originario decreto (di divieto detenzione armi) del 3 novembre 2015 evidenziava, quale causa ostativa al mantenimento della licenza di polizia, le motivazione (in precedenza riportate) addotte dal datore di lavoro a sostegno del licenziamento del sig. -OMISSIS-.

Impregiudicate le vicende che hanno condotto, sull’accordo delle parti, ad una modificazione del titolo di risoluzione del rapporto di lavoro (già) intercorso fra il ricorrente e -OMISSIS-, difettano negli atti prefettizia all’esame:

– non soltanto una autonoma ed approfondita enucleazione delle circostanze impeditive al fine del mantenimento della licenza (dimostrandosi appieno inconferente il mero rinvio ob relationem alle motivazioni del licenziamento)

– ma anche, sulla base di eventuali emersioni fattuali rilevanti ai fini di che trattasi, l’enucleazione di un rapporto inferenziale rispetto alla verifica dei requisiti idoneativi, sulla base di quanto indicato nelle pertinenti disposizioni del T.U.L.P.S. e del cospicuo orientamento giurisprudenziale (del quale pure si è dato precedentemente, conto) al riguardo formatosi;

di tal guisa che entrambi gli atti gravati si dimostrano illegittimi per inadeguatezza motivazionale, in relazione alla carente dimostrazione di elementi e/o circostanze di fatto (fuori dal mero richiamo al licenziamento del lavoratore) suscettibili di rappresentare, nel giudizio prognostico proprio della misura preventiva di che trattasi, l’inidoneità al mantenimento del titolo di polizia, ovvero la possibilità che il titolare di esso possa abusare delle armi.

6. In tali termini – con riserva, ovviamente, di rinnovata effusione del potere, ad opera della competente Autorità prefettizia, nei limiti della valenza conformativa delineata dalla presente pronunzia – gli atti gravati meritano annullamento, con inevitabile assorbimento dei rimanenti profili di doglianza avverso essi dedotti con il mezzo di tutela all’esame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria, immediatamente ritenuto per la decisione nel merito, ai sensi dell’artt. 60 c.p.a., il ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti con esso impugnati.

Condanna la resistente Amministrazione, nella persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente sig. -OMISSIS-, in ragione di € 1.000,00 (Euro mille/00), oltre accessori come per legge e refusione del contributo unificato, ove versato.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi della parte ricorrente, nonché degli altri soggetti nominativamente individuati nella presente pronunzia, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente, Estensore

Filippo Maria Tropiano, Referendario

Donatella Testini, Referendario