L’informativa antimafia si applica anche alle attività economiche “soggette a regime autorizzatorio (o a s.c.i.a.)”

Informativa Interdittiva Antimafia – Applicabilità dell’informativa antimafia a tutte le attività economiche “soggette a regime autorizzatorio (o a s.c.i.a.)” – Infondatezza delle censura dedotte da parte ricorrente – Legittimità dell’informativa – Rigetto del ricorso


Il Tribunale Amministrativo di Reggio Calabria conferma la “sussumibilità dell’attività soggetta a s.c.i.a. nell’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione del combinato disposto degli artt. 67, 83, 91 e 100 del codice antimafia”.
L’art. 83, I comma, del codice (rubricato “Ambito di applicazione della documentazione antimafia”), puntualizza il Collegio, prevede che le amministrazioni devono acquisire la documentazione, di cui all’art. 84, sia prima di “stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici”che“prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67”, tra cui rientrano le “altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati”.


Pubblicato il 16/02/2017 – N. 00115/2017 REG.PROV.COLL. – N. 00204/2016 REG.RIC.

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 204 del 2016 proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. …

contro

Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, presso i cui Uffici, in via del Plebiscito n. 15, ha legale domicilio;
Comune di X, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. …
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, non costituito;

per l’annullamento

– dell’informazione interdittiva antimafia prot. n. — ex artt. 91 e 100 del D. Lgs. n. 159/2011, emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria in data 18 gennaio 2016;

– del provvedimento comunale prot. n. —- del 3 febbraio 2016 di chiusura immediata della —–“Il -OMISSIS- di -OMISSIS-”;

– di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente e comunque lesivo della posizione e degli interessi della ricorrente;

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di —–e della Prefettura di Reggio Calabria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2017 la dott. Donatella Testini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Espone parte ricorrente di aver presentato, in data 6 febbraio 2013, una s.c.i.a. commerciale, acquisita dal Comune in epigrafe al prot. n. ——, per l’apertura di un esercizio di attività di —-– —.

A seguito di apposita richiesta dell’Amministrazione comunale, ai sensi degli art. 91 e 100 del D. Lgs. n. 159/11, la Prefettura di Reggio Calabria ha emesso l’informazione antimafia di carattere interdittivo prot. n. —- del 18 gennaio 2016.

Conseguentemente, con provvedimento prot. n. —–del 3 febbraio 2016, il Comune ha disposto la chiusura immediata dell’esercizio commerciale di ——-.

Avverso i predetti atti insorge parte ricorrente deducendone l’illegittimità per violazione della normativa di settore nonché per eccesso di potere, sotto svariati profili sintomatici, articolando i seguenti motivi di censura.

– Violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 100 del D. Lgs. n. 159/11. Eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti e difetto di istruttoria.

Sostiene parte ricorrente che, ai sensi degli artt. 67 e 100 del D. Lgs. n. 159/11, la presentazione di una s.c.i.a. per l’avvio dell’attività di un esercizio commerciale non richiederebbe il rilascio dell’informazione antimafia, trattandosi di un atto privato, di una mera comunicazione, che non darebbe luogo a rapporti contrattuali con la p.A. né rientrerebbe in una delle fattispecie elencate dall’art. 67 del codice antimafia.

Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 159/11 e, in particolare, degli artt. 84, 91 e 94. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/90; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost.; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta, travisamento di atti o fatti, erroneità e difetto dei presupposti, sviamento e manifesta ingiustizia.

Nel rilevare come i tentativi di infiltrazione, lungi dal riguardare la socia accomandataria -OMISSIS- od il socio accomandante -OMISSIS-, si appunterebbero esclusivamente sui tre fratelli della prima, noti esponenti dell’omonimo clan “-OMISSIS-”, osserva parte ricorrente che la Prefettura avrebbe fatto cattivo uso del potere discrezionale, atteso che mancherebbero idonei e specifici elementi di fatto idonei a disvelare concrete connessioni con associazioni malavitose.

La prognosi di infiltrazione, dunque, si fonderebbe sul mero rapporto parentale, attesa l’asserita irrilevanza anche degli stigmatizzati rapporti economici intrattenuti dal socio accomandante -OMISSIS- con parenti del ridetto clan “-OMISSIS-”.

Violazione dell’art. 7 della l. n. 241/90.

Censura parte ricorrente l’omesso invio della comunicazione di avvio del procedimento sfociato nell’adozione dell’interdittiva.

– Deduce, infine, l’illegittimità del provvedimento comunale di chiusura dell’esercizio commerciale sia per invalidità derivata dal provvedimento prefettizio che per vizi propri ovvero, in buona sostanza, per mancata esternazione delle motivazioni poste a fondamento della determinazione, nel presupposto della natura non vincolante dell’interdittiva, e per mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento.

Conclude per l’annullamento degli atti impugnati.

Si sono costituiti in giudizio la Prefettura ed il Comune intimati, eccependo l’infondatezza del gravame ed invocandone la reiezione.

La domanda di sospensione degli atti impugnati, proposta in via incidentale dalla parte ricorrente, è stata respinta con ordinanza n. 71, pronunziata dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 20 aprile 2016.

La causa viene ritenuta per la decisione alla pubblica udienza dell’11 gennaio 2017.

DIRITTO

1.1. Va, in primis, esclusa la condivisibilità della censura con la quale parte ricorrente ha dedotto la violazione, ad opera dell’Amministrazione comunale, degli artt. 67 e 100 del codice antimafia.

Il Collegio conferma quanto già affermato in sede cautelare in punto di sussumibilità dell’attività soggetta a s.c.i.a. nell’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione del combinato disposto degli artt. 67, 83, 91 e 100 del codice antimafia.

L’assenza di rapporti obbligatori con l’amministrazione non esclude affatto la doverosità del rilascio dell’informativa prefettizia, a ciò ostando sia la ratio della normativa antimafia che lo stesso tenore letterale delle disposizioni applicabili.

L’art. 83, I comma, del codice (rubricato “Ambito di applicazione della documentazione antimafia”) prevede che le amministrazioni devono acquisire la documentazione, di cui all’art. 84, sia prima di “stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblicicheprima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67”, tra cui rientrano le “altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati”.

L’art. 91, I comma, prevede che detti soggetti devono acquisire l’informativa prima di rilasciare o consentire anche i provvedimenti indicati nell’art. 67.

Con sentenza n. 1220 del 5 dicembre 2016, questo Tribunale (in una fattispecie analoga alla presente e riguardante il ritiro di una s.c.i.a.) ha già chiarito che:

– l’art. 67 (rubricato “Effetti delle misure di prevenzione”), proprio in quanto richiamato dagli artt. 83 e 91, “rileva non solo per individuare quali siano gli effetti delle misure di prevenzione, ma anche per determinare le tipologie degli atti i cui effetti sono radicalmente incompatibili con lo status di destinatario di una interdittiva antimafia”;

– “…a seguito della emanazione di una informativa antimafia, la pubblica amministrazione non può rilasciare alcun atto abilitativo per lo svolgimento di una qualsiasi attività economica o commerciale e che, se è stato già emanato un tale atto abilitativo, deve esservi il suo ritiro”;

… la normativa sopra riportata del codice antimafia – che mira a far ritirare gli atti abilitativi, comunque denominati, rilasciati alle imprese destinatarie delle interdittive antimafia – mira a salvaguardare le regole del mercato, evitando che vi siano l’alterazione delle regole della concorrenza e il riciclaggio”.

Sull’applicazione dell’informativa antimafia a tutte le attività economiche “soggette a regime autorizzatorio (o a s.c.i.a.)” si è espressa anche la recente sentenza n. 565 del 9 febbraio 2017 della III Sezione del Consiglio di Stato, la quale ha condivisibilmente affermato che “Lo Stato non riconosce dignità e statuto di operatori economici, e non più soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose”.

1.2. Tanto premesso, emerge con evidenza che il Comune resistente ha correttamente operato, vieppiù in considerazione della circostanza che, essendo stato sciolto ex art. 147 del T.U.E.L., ai sensi dell’art. 100 del codice antimafia, “deve acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto, ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione o erogazione indicati nell’articolo 67 indipendentemente dal valore economico degli stessi”.

Il richiamo all’art. 67, che torna nell’articolo su riportato, va rettamente inteso nel senso già esplicato sub 1.1.

La censura in discorso, in conclusione, non è meritevole di favorevole apprezzamento.

2. Quanto al contenuto sostanziale dell’interdittiva gravata, essa risulta, invero, indenne dalle denunciate censure.

…omissis…

La Prefettura ha evidenziato che i predetti soci sono inseriti in un contesto familiare riconducibile all’omonima cosca di ‘ndrangheta denominata “-OMISSIS-”, attiva in ZZZ (Comune sciolto, come si è già detto, per infiltrazioni della criminalità organizzata) e con ramificazioni sparse su tutto il territoriale nazionale ed all’estero.

Dagli accertamenti condotti dalle Forze dell’Ordine è emerso quanto segue.

a) L’accomandataria…omissis….

b) Il socio accomandante….omissis…

Da tale quadro è emerso il giudizio per cui “Rilevato che dagli accertamenti sopra riferiti emerge un fitto e denso intreccio di parentele tra i componenti della società in argomento e soggetti intranei alla criminalità organizzata, tutti riconducibili alla cosca -OMISSIS-, si ritiene verosimile il pericolo che l’impresa in argomento ricavi profitti in virtù delle pressioni illecite che le cosche svolgono sul territorio”, espresso all’esito, peraltro, di una riunione del Gruppo Tecnico Interforze Antimafia.

2.2. Questo Collegio ha più volte ribadito i principi, ormai consolidati, che governano il sindacato di legittimità in materia di informative antimafia a carattere interdittivo.

Con particolare riferimento al rapporto inferenziale tra configurabilità del tentativo di infiltrazione mafiosa e sussistenza di controindicati vincoli parentali, si rimanda alle coordinate ermeneutiche esaurientemente esposte nella sentenza di questo Tribunale n. 831 del 2 luglio 2016.

Giova in questa sede rammentare che se è senz’altro vero che:

Il mero rapporto di parentela, in assenza di ulteriori elementi, non è di per sé idoneo a dare conto del tentativo di infiltrazione, in quanto non può ritenersi un vero e proprio automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell’impresa, che deponga nel senso di un’attività sintomaticamente connessa a logiche e ad interessi malavitosi”;

va altresì precisato che:

“… i rapporti di natura parentale assumono rilievo qualora emerga un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell’oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l’infiltrazione mafiosa nell’impresa considerata” (così la sentenza di questo Tribunale n. 831 del 2 luglio 2016 su richiamata).

2.3. Nel caso di specie, l’Autorità prefettizia ha fatto corretto uso dell’ampio potere discrezionale ad essa attribuito in funzione di tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata.

Il quadro di rapporti parentali su riportato ricongiunge obiettivamente l’intera compagine sociale ad esponenti di spicco della criminalità organizzata.

A ciò si aggiungono le frequentazioni controindicate del socio accomandante nonché la sussistenza di rapporti economici fra quest’ultimo ed un ulteriore soggetto controindicato, anch’esso inserito nel medesimo contesto familiare.

….omissis…

In siffatto contesto fattuale, non appare dirimente quanto rappresentato da parte della ricorrente in merito alla “positiva” conclusione di alcune delle vicende penali che hanno coinvolto uno dei fratelli dell’accomandataria.

E’ ormai noto, infatti, che l’esito dei giudizi penali non rivela concludenza in sé, “piuttosto rilevando, all’interno della necessaria emersione di profili di sintomaticità del tentativo di infiltrazione (risolventesi, sotto l’aspetto logico-induttivo, in un giudizio avente carattere intrinsecamente prognostico), l’apprezzabilità di un quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa, che dia “conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, per effetto dei quali, sulla base della regola causale del «più probabile che non»” (Cons. St., Sez. III, 7 ottobre 2015, n. 4657)” (cfr., sentenza 11 novembre 2016 n. 1134 di questo Tribunale).

2.4. Come più volte affermato da questo Tribunale, l’informativa si rivela legittimamente adottata sulla base di elementi sintomatici ed indiziari dai quali sia inferibile il tentativo di ingerenza; elementi che, nel loro insieme, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa sia in grado, anche in maniera indiretta, di agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata.

E’, pertanto, sufficiente un compiuto quadro fattuale ed indiziario di un tentativo di infiltrazione avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato; siffatta scelta dimostrandosi coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell’intimazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite.

Va tenuto conto, inoltre, dei limiti del sindacato giurisdizionale nella materia, stante l’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata al Prefetto a tutela delle condizioni di sicurezza ed ordine pubblico, per cui le valutazioni effettuate dall’Autorità prefettizia sono suscettibili di sindacato in sede giurisdizionale nei soli limiti di evidenti vizi di eccesso di potere nei profili della manifesta illogicità e dell’erronea e travisata valutazione dei presupposti (Consiglio di Stato, sez. III, 23 aprile 2015 n. 1576).

Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, emerge l’infondatezza delle censura dedotte da parte ricorrente avverso il provvedimento prefettizio gravato.

3. Parimenti infondata è la censura relativa alla violazione dell’art. 7 della l. n. 241/90 in relazione all’omesso invio della comunicazione di avvio del procedimento sfociato nell’adozione dell’interdittiva.

E’ sufficiente richiamare, sul punto, la consolidata e risalente giurisprudenza che esclude la necessità della comunicazione di avvio del procedimento prima della sua emanazione: ciò in ragione dei caratteri di riservatezza e di celerità del relativo procedimento (si veda, in tal senso, ex multis, la sentenza 23 marzo 2016, n. 315 di questo Tribunale ed i precedenti ivi richiamati).

4. La domanda di annullamento dell’interdittiva, in conclusione, è infondata e va respinta.

5.1. Quanto alla domanda di annullamento del provvedimento comunale di chiusura dell’esercizio commerciale, va da sé che all’infondatezza delle censure rivolte contro il provvedimento prefettizio “presupposto” consegue l’inaccoglibilità delle censure di illegittimità derivata.

5.2. I dedotti vizi propri del provvedimento comunale sono insussistenti in quanto si basano entrambi sull’errato convincimento dell’effetto non interdittivo dell’informativa.

Quest’ultima, al contrario, ha carattere indiscutibilmente interdittivo dal ché deriva la natura vincolata del provvedimento adottato dal Comune con conseguente insussistenza sia dell’obbligo di comunicare l’avvio del relativo procedimento che di procedere ad un bilanciamento di interessi da esternare in un corredo motivazionale.

6. La riscontrata infondatezza degli esaminati motivi di ricorso impone il rigetto delle domande proposte.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore della Prefettura di Reggio Calabria e del Comune di Reggio Calabria, nella misura di euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori legge, in favore di ciascuno di essi.

Non si fa luogo a pronunzia in ordine alle spese di lite con riferimento al Ministero dell’Interno non costituitosi in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, I comma, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, “-OMISSIS-”

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Filippo Maria Tropiano, Referendario

Donatella Testini, Referendario, Estensore